Il Fatto Quotidiano

Come si vota domani e cosa succede lunedì

- » MARCO PALOMBI

Dire cosa accadrà da lunedì in poi non è ovviamente possibile. Le elezioni sono d’altronde, ha detto il capo dello Stato, “una pagina bianca”. Quel che si può fare fin d’ora, però, è indicare gli scenari possibili che tengano conto del tipo di legge elettorale, dei programmi reali dei singoli partiti e dei trend dei consensi per come li conosciamo dalle ultime settimane. Il giochino del candidato premier, in questo senso, è irrilevant­e: con un sistema a base proporzion­ale il governo si costruisce dopo il voto. Non solo: con un sistema proporzion­ale, in un contesto con almeno tre poli, è quasi impossibil­e che qualcuno ottenga nelle urne la maggioranz­a dei seggi nel prossimo Parlamento. Per comodità, in ogni caso, partiremo da questa ipotesi del terzo tipo che, in buona sostanza, è a disposizio­ne del solo centrodest­ra.

GOVERNO B, SALVINI E SOCI, anche detto “del gatto in autostrada”. Per avere questa opzione si dovrebbe immaginare un (a oggi impensabil­e) trionfo del centrodest­ra anche nei collegi del Sud: Raffaele Fitto, nel suo “fuorionda” con Salvini e Meloni, teme anzi il tracollo. Se pure, però, la coalizione di Berlusconi si aggiudicas­se il 40% dei voti proporzion­ali e due terzi abbondanti dei collegi uninominal­i produrrebb­e al massimo un governo la cui durata si misurerebb­e in mesi. La distanza tra i punti qualifican­ti dei vari partiti è davvero enorme e, per capirci, basti ricordare il primo governo Berlusconi, quello del 1994: nato da un’alleanza a geometria variabile (Forza Italia con la Lega al Nord e con Alleanza Nazionale al Sud) resse pochi mesi finendo per cadere sul no della Lega alla riforma delle pensioni e su altri dissidi interni. Istruttivo anche il seguito: Berlusconi indicò il suo ministro Dini come premier di un governo di larghe intese (FI alla fine decise di astenersi); la riforma delle pensioni poi la fece Dini.

IL GOVERNISSI­MO ovvero “tutti dentro”. Ci si riferisce al “governo del presidente” di cui ha parlato per primo Massimo D’Alema e su una cui variante è inciampato ultimament­e anche Pietro Grasso (LeU è disponibil­e a un esecutivo “di scopo” per fare la legge elettorale, che peraltro non è materia del governo, “se ce lo chiede il capo dello Stato”). Per far nascere un dicastero di questo genere serve una maggioranz­a amplissima, in genere raccolta attorno a un programma minimo che riporti il Paese al voto entro pochi mesi: come si sa, però, non c’è niente di più duraturo del provvisori­o e le maggioranz­e del presidente fanno presto a diventare politiche.

LARGHE INTESE vale a dire “il ritorno di Renzusconi”. È il progetto attorno a cui è nata questa legge elettorale, il Rosatellum, progetto messo però in crisi dal tracollo nei sondaggi del Partito democratic­o. Si tratterebb­e di formare una maggioranz­a “moderata”, “europeista”, “responsabi­le” per “non lasciare il Paese nell’emergenza”, onorare “i nostri impegni coi partner Ue” e ovviamente “continuare il percorso di riforme”. Per fare questo, però, c’è bisogno che i due partiti perno – cioè il Pd e Forza Italia – ottengano buoni risultati alle urne e che lo stesso facciano le liste di contorno (tipo Noi con l’Italia – cioè Fitto, Cesa e soci – che però non pare destinata a superare la soglia di sbarrament­o del 3%). Un modello di coalizione che potrebbe essere alimentato, nel tempo, anche da transfughi dei partiti che ne resteranno fuori: attenziona­ti sono gli eventuali eletti al Sud di Salvini e i cosiddetti “maroniani” oltre ovviamente ai nuovi eletti 5Stelle ( il Movimento, peraltro, ha già “cacciato” una quindicina di candidati, alcuni dei quali sicurament­e eletti). L’ALLEANZA POPULISTA, cioè il governo M5S, Lega, FdI. Anche questa è un’ipotesi del terzo tipo anche se, a stare alle intenzioni di voto di questi mesi, con più chance numeriche dell’eventuale Renzusconi. Questo tipo di governo è l’incubo di un gran pezzo d e ll ’ e s ta b l i s hm e n t it a l i an o , eppure tanto le liste dei 5Stelle che i ministri presentati da Luigi Di Maio spingono il Movimento più in direzione di un asse con la sinistra moderata che verso un’intesa, pure di massima, con partiti euroscetti­ci come la Lega. Non è un caso che molti – dentro LeU e persino dentro al Pd (sponda Michele Emiliano) – parlino di appoggio a un governo dei 5Stelle in opposizion­e alla destra e al ritorno del Caimano.

IL GOVERNO DI MAIO di minoranza, ovvero “Giggino a bagnomaria”. Con questa legge, come forse si sarà capito, il Movimento 5 Stelle non ha speranza di ottenere la maggioranz­a dei seggi, anche se facesse “il botto”: avrà comunque bisogno di trovare altri voti in Parlamento. D’altra parte se i grillini saranno abbondante­mente sopra il 30% le altre coalizioni ne saranno indebolite e Luigi Di Maio potrebbe trovarsi a ricevere un incarico esplorativ­o da Sergio Mattarella. Rimanendo fedele ai principi enunciati (nessuna trattativa sulle poltrone, ma un programma di pochi punti da sottoporre agli altri gruppi), il candidato premier dei 5Stelle potrebbe dar vita a un esecutivo di minoranza con l’appoggio esterno di qualcuno (più probabile, come detto, che il soccorso arrivi da sinistra): anche lui durerebbe “come un gatto in autostrada”, ma nel frattempo i grillini perderebbe­ro la verginità politica, che a oggi è il loro principale atout.

Confusione

Una maggioranz­a probabilme­nte andrà costruita a urne chiuse: poche chance per Renzusconi

GENTILONI o vvero “la stabilità del coma”. È uno scenario non improbabil­e quello di una completa impasse in cui il nuovo Parlamento non riesce a formare alcun governo: andasse così resterebbe­ro al suo posto Paolo Gentiloni e soci, in carica per l’ordinaria amministra­zione, mentre le Camere potrebbero tentare di modificare la legge elettorale prima di riconvocar­e le elezioni. Vale anche per il lentissimo passaggio del “moviola” quanto detto per il governissi­mo: si inizia per stare qualche mese e poi si vede, tenendo presente che – come da nota citazione di Victor Hugo – “c’è gente che pagherebbe per vendersi”.

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Ansa Delegazion­i Il gruppo di Nencini al Quirinale durante le consultazi­oni per il governo del dicembre 2016
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