Buone nuove per i boss: colloqui liberi in cella, il 41-bis non c’è più
La decisione del Tribunale di Perugia dopo il reclamo di un ergastolano
■Tutti i mafiosi in regime di carcere duro ora potranno appellarsi alla decisione favorevole a Umberto Onda che ha contestato i controlli audio e video. Il rischio è che ora i capimafia tornino a comandare dal carcere
Per gli alfieri dei diritti dei detenuti è un grande passo avanti. Per alcuni magistrati dell’Antimafia è una sentenza che rischia di modificare il regime di isolamento previsto dal 41-bis. Il Tribunale di Perugia, il 21 febbraio, ha stabilito che anche i garanti locali dei detenuti, non solo quello nazionale, possono intrattenersi a colloquio con i detenuti sottoposti al regime di isolamento senza autorizzazione, senza il vetro divisorio fino al soffitto e senza la registrazione audio-video. La notizia ieri ha fatto il giro delle carceri e delle Procure antimafia italiane suscitando preoccupazioni che, sotto garanzia di anonimato, più magistrati hanno confidato al Fatto. Quali saranno le conseguenze della decisione del Tribunale umbro? Se diverrà definitiva (se la Procura generale non farà appello o se la Cassazione confermerà la sentenza) la conseguenza sarà che i detenuti al 41-bis potranno incontrare i garanti degli enti locali senza che nessuno ascolti le loro conversazioni. Finora il colloquio non monitorato era ritenuto una prerogativa solo del garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma. Per il Dipartimento amministrazione penitenziaria i garanti locali, come i parlamentari, potevano verificare la condizione dei detenuti con semplici visite e non con un colloquio individuale.
Tutto parte dal reclamo di Umberto Onda, 46 anni, boss di Torre Annunziata, arrestato nel 2010 e accusato di far parte del clan Gionta, recentemente condannato all’ergastolo per alcuni omicidi. Onda, che in passato ha protestato e che nel 2016 nel carcere di Opera è stato protagonista di un tentativo di suicidio, aveva chiesto al carcere di Terni di non computare tra i colloqui coi familiari quelli chiesti al garante dei detenuti dell’Umbria. Inoltre si era lamentato del controllo audio e video. Il 27 giugno 2017 il magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, aveva dato ragione al boss disponendo che fosse disapplicata la circolare del Dap: i colloqui non vanno computati e sono consentiti senza vetro e senza controllo audio-video anche se il garante è regionale.
I verdetti
Preoccupa la sentenza del Tribunale di Perugia, non ancora esecutiva e appellabile
QUALCUNO potrebbe storcere il naso ricordando che, per fare un esempio, nella Regione Lazio il garante era Angiolo Marroni, personalità della sinistra impegnata sul fronte dei diritti dei detenuti ma anche amico di Salvatore Buzzi. Oppure che, oltre ai garanti regionali, si stanno diffondendo i garanti nominati con una semplice delibera del consiglio comunale dalle città e dai paesi. La sentenza non cita i Comuni ma si potrebbe immaginare un garante dei detenuti nominato dal consiglio di Corleone o di Casal di Principe che vanta gli stessi diritti del garante dell’Umbria, del Lazio o della Calabria. Una tesi che il direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap, Roberto Piscitello, aveva impugnato, forte del precedente di Salvatore Madonia. Il boss di Resuttana è in cella al 41-bis dal 1992. La moglie è stata arrestata a dicembre 2017 e per i pm di Palermo veicolava i suoi ordini dal carcere di Viterbo. Il killer di Libero Grassi, condannato in primo grado nel Borsellino quater, ha chiesto di incontrare senza controlli i garanti nominati dagli enti locali. In quel caso però il magistrato di sorveglianza di Viterbo, Maria Raffaella Falcone, nel 2017 ha respinto le sue
richieste chiarendo che questa facoltà è prevista solo per il garante nazionale Mauro Palma, secondo la legge del 2013 “proprio in considerazione del ruolo del garante nazionale, organo nominato previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sentite le competenti commissioni parlamentari e dei poteri allo stesso conferiti con legge dello Stato”.
Ora la sentenza perugina del 21 febbraio scorso sul caso del boss Onda ribalta quella linea. Il collegio presieduto da Nicla Flavia Restivo eleva i garanti locali al rango di quello na- zionale perché “avendo avuto un ruolo e un riconoscimento molto prima del garante nazionale i garanti regionali si sono già trovati ad esercitare quei poteri di verifica delle situazioni detentive del ristretto ad affrontare le problematiche connesse alla tutela dei diritti fondamentali”. La sentenza conclude che “qualunque detenuto ha diritto a svolgere un colloquio riservato (ovvero privo di controllo auditivo) con l’autorità garante territoriale senza che sia necessaria alcuna autorizzazione a svolgerlo da parte della Amministrazione”, compreso il detenuto al 41 bis. Anzi: “Trattandosi di persone ristretta in regime differenziato in peius, in realtà era necessaria una presenza e un monitoraggio di tale regime detentivo superiore”.
LA SENTENZApotrà ora essere invocata da tutti i boss detenuti che vogliono parlare con i garanti locali. Il pm di Perugia aveva fatto notare al Tribunale “il pericolo attraverso il garante territoriale di collegamenti all’esterno con il sodalizio di appartenenza”. Ma quella tesi del pm per i giudici “appare fondata su immotivati quanto apodittici indici di sospetto privi di riscontri obiettivi”. Non è vero per il Tribunale di Perugia “che il garante regionale (...) possa essere più facilmente ‘avvicinato’ e quindi ‘strumentalizzato’ dal detenuto e dai suoi sodali rimasti in libertà e possa veicolare all’esterno comunicazioni”. Per il Tribunale già oggi ci sono le dovute garanzie in questo senso: i detenuti sono posti in carceri lontani dal luogo di operatività del loro clan e anche per gli avvocati dei boss la Corte costituzionale ha permesso i colloqui senza controllo “superando il sospetto”.