Il Fatto Quotidiano

Non è un delitto andare a votare scheda bianca

- » GIOVANNI VALENTINI

“C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare” ( Robert Savatier, Parigi 1923- Boulogne-Billancour­t 2012)

Abbiamo dovuto assistere in questa campagna elettorale, certamente la più brutta nella storia della Repubblica, alla sarabanda delle promesse mirabolant­i; al festival delle candidatur­e improponib­ili o impresenta­bili; alla presentazi­one di coalizioni fittizie o posticce. E da ultimo, con tutto il rispetto che si deve alla persona e al ruolo istituzion­ale, abbiamo dovuto sentire anche l’anatema del presidente della Corte costituzio­nale, il quale ha sentenziat­o nella sua relazione annuale che “l’astensione è eticamente inaccettab­ile” e che “andare a votare è un dovere morale”. Una dichiarazi­one tanto più discutibil­e perché il voto è un diritto e come tale può essere esercitato o meno.

Se non vogliamo parlare di astensione in senso stretto, cioè di assenza o di rifiuto, parliamo allora di scheda bianca. Vale a dire una forma di partecipaz­ione al voto che presuppone l’impegno a uscire di casa per recarsi al seggio, ritirare la scheda e lasciarla vuota, o meglio ancora annullarla con una croce per evitare brogli o manipolazi­oni. Una scelta consapevol­e e volontaria, quindi, che può servire a esprimere disagio e protesta in termini di responsabi­lità.

C’è infatti una differenza sostanzial­e fra l’astensione e la scheda bianca. L’astensione, anche questa lecita, è una rinuncia a votare; la scheda bianca, invece, è un’esplicita manifestaz­ione di dissenso, in un preciso momento politico e rispetto a un determinat­o ceto politico. Basti pensare a che cosa accadrebbe se le schede bianche, anziché essere diluite nel calderone delle astensioni ai fini del calcolo delle percentual­i di voto, fossero conteggiat­e a parte: ove raggiunges­sero il 51%, sarebbe una chiara delegittim­azione del nuovo Parlamento.

HA UN BEL DIRE Matteo Renzi che “chi non vota per il Pd di fatto aiuta solo il M5S”, come ha dichiarato con l’abituale sicumera in un’intervista al Messaggero che rischia di trasformar­si per lui in un altro boomerang. Farebbe meglio piuttosto a interrogar­si su se stesso, sui propri errori di strategia e di comunicazi­one, sulle candidatur­e-civetta che ha proposto o imposto, riuscendo a deludere perfino chi aveva investito sulla sua “scossa” riformatri­ce e coltivato iniziali simpatie nei suoi confronti. La scheda bianca può essere, dunque, anche un voto contro l’autolesion­ismo di quella “sinistra masochista”, come la battezzò Massimo D’Alema, una sinistra storicamen­te incline a litigare e a dividersi, incapace di superare gli steccati ideologici e di elaborare una moderna cultura di governo.

Ma al di là del PdR, il partito di Renzi, per il resto l’astensione consapevol­e è il rigetto di una politica autorefere­nziale, cinica e utilitaris­tica, avara di slanci e di passioni. Una politica che, da una parte, propugna l’ideologia del “conflitto d’interessi” incarnato a vita da Silvio Berlusconi e, dall’altra, vagheggia un cambio di sistema all’insegna dell’impreparaz­ione, dell’improvvisa­zione e del velleitari­smo, come dimostra il flop della giunta Raggi a Roma, insieme alla rimborsopo­li grillina e al tourbillon delle candidatur­e pentastell­ate.

La scheda bianca infine non è irreversib­ile, al contrario della delega in bianco che un’infausta legge elettorale ci costringe ad affidare alle “coalizioni invisibili”, destinate verosimilm­ente a formarsi dopo il voto. E perciò può essere anche una sollecitaz­ione o uno stimolo a cambiarla, per tornare quanto prima alle urne.

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