LISTE SENZA STAR: TANTO I POLITICI SI SENTONO DIVI
Questa volta la politica vuol far tutto da sola. Niente, o pochi, magistrati, nelle liste elettorali, e nemmeno divi dello spettacolo: le star in lizza con le varie formazioni politiche, infatti, sono tutt’altro che di prima grandezza. Le Barra, i Carelli o i Paragone che corrono con il Pd o il M5S, con tutto il rispetto, possiedono solo una loro dignitosa visibilità. Non abbiamo visto quest’anno nessuna caccia al divo da mettere in lista, nessuna star importante del cinema o della tv da schierare come fiore all’occhiello (in compenso ci sono una bella sfilza di indagati).
SONO LONTANI i tempi in cui Santoro o Dalla Chiesa, la Gruber o la Zanicchi si candidavano nelle liste dei partiti, con questi ultimi a contendersi agguerriti le loro presenze. Oramai la politica gioca in autonomia la sua sfida elettorale, e delle star essa ha molto meno bisogno. Fino a qualche tempo fa, un bel nome tratto dal mondo patinato dei media era sempre un obiettivo ambito per chi cercasse il consenso dei cittadini: nella speranza che la popolarità del vip si riversasse automaticamente sul partito che lo candidava. Adesso non accade più, o accade di rado. Sarebbe interessante chieder- sene le ragioni. Una prima motivazione è che sono gli stessi divi a rinunciare a prestarsi alla politica, così avvolta quest’ultima com’è da un clima di sfiducia e di rifiuto (e non è un caso che alcuni di quelli più noti come Carelli o Paragone stiano con i cinquestelle). Una seconda invece, e ci pare questa la ragione principale, è che i politici sono diventati essi stessi delle star mediatiche, o almeno ci provano. Con le loro quotidiane comparse in video, offrendosi senza pudore ai media anche nella loro dimensione privata, hanno fatto cadere ogni residuo diaframma tra divismo e potere politico, tentando di dotarsi di quell’aura dorata e impalpabile che è la materia di cui sono fatti i personaggi dello star system.
Forse l’ultimo grande divo dello spettacolo a cimentarsi in una campagna elettorale è stato proprio Beppe Grillo nel 2013, uno che però da molti anni, fa- cendo il percorso inverso, aveva trasformato lo spettacolo, il “suo” spettacolo, in politica: riempiendo le sue performances di temi impegnati e civili come l’ambiente, la difesa dei beni pubblici, l’economia sostenibile, ecc. Lo stesso, per un altro verso, aveva fatto Santoro dieci anni prima, candidandosi alle Europee, ma anche lui avendo dalla sua la medesima caratteristica: cioè di avere trasformato lo spettacolo (anche qui il “suo” spettacolo) in politica.
NE LL’ERA DELLA d emoc raz ia del pubblico il politico gioca in proprio la partita. Non ha bisogno del nome di grido, della star di successo, del divo famoso. La politica si fa spettacolo, il politico si muta in teatrante, attore, lascia i ragionamenti e cerca il colpo a effetto, l’urlo, il corpo a corpo. I risultati però finora sono apparsi abbastanza scadenti. L’impressione è che, insomma, la sfida per incassare il dividendo mediatico si stia rivelando perdente. Soprattutto per la democrazia. Prova ne sia il fatto che da quando il fenomeno ha messo piede in Italia i cittadini che vanno alle urne sono di parecchio diminuiti, e non viceversa, mentre la fiducia verso i partiti e i loro leader, per quanto divizzati, è drammaticamente calata.
GRANDI MUTAZIONI Prima un bel nome tratto dal mondo patinato era un obiettivo ambito, oggi sono diventati loro stessi dei personaggi tv