Giordana e la rivoluzione delle donne: “Fate i nomi”
Una storia di molestie: “Serve una legge che tuteli le vittime”
on si può pretendere di cambiare il mondo con le buone maniere. I rivoluzionari sono sempre po’ maleducati, no?”. Così Marco Tullio Giordana a celebrare “chi ha avuto e sta avendo – con ogni mezzo a disposizione – il coraggio di denunciare molestie sessuali, subdole ingiustizie, abusi di potere. E di fare i nomi dei responsabili di tali soprusi”. Coinvolto nella regia del film Nome di donna, in uscita l’8 marzo, il cineasta milanese va ben oltre il ruolo di regista, decidendo di scendere in campo in prima persona a favore di chi ha scelto di “resistere”.
PROPRIO COME la sua eroina Nina, una semplice ragazza della campagna pavese aspirante restauratrice, che viene molestata dal direttore della lussuosa struttura per anziani dove è di recente assunzione. La giovane non ci sta e lo porta in tribunale, perché “ho il diritto di lavorare senza farmi mettere le mani addosso. Non hanno ragione loro, ho ragione io”, proclama a gran voce in una scena forte del film. Scritto con Cristiana Mainardi, che firma anche il soggetto, e interpretato da Cristiana Capotondi – l’attrice che aveva difeso il regista amico Fausto Brizzi dall’accusa di molestie – nel ruolo della pasionaria protagonista, Nome di donna offre l’identikit del padrone monstre che esercita il suo potere sui sottoposti, fragili e facilmente ricattabili. Ma l’esemplificazione della natura sessuale del ricatto è comunque al centro della vicenda, e benché ideato, scritto e girato prima dello scandalo Weinstein e co., il film sembra la fotocopia in cinema di una cronaca ormai, purtroppo, quotidiana.
“Ci vuole grande rivoluzione e uso il termine con cognizione di causa. Perché se la vergogna non porta i colpevoli a capire i loro atti criminali ci vuole una legge – giusta – che restituisca giustizia a chi li subisce. È un nervo scoperto, i media ne devono parlare perché i lettori vogliono capire, serve arrivare a un cambiamento radicale”. Ne è convinto Giordana, per questo plaude Asia Argento, “verso il cui coraggio bisogna essere riconoscenti. È stata lasciata da sola, priva della solidarietà che meritava. Io rispetto Asia sia come artista che come donna di coraggio, messa in discussione da una prudenza filistea incurante di approfondire i fatti che lei cercava di denunciare. Contro di lei comportamenti meschini e ipocriti persino dalle donne che le sono state ostili. L’ho invitata alla prima del film, vorrei davvero che partecipasse”, continua il regista di opere di acclamato valore civile come I cento passi e Romanzo di una strage.
Nina, ragazza madre, bisognosa di lavoro ma dotata di dignità, ha dunque la forza di ribellarsi al brutale e “pretestuoso dottor” Marco Maria Torri, il viscido direttore dell’ospizio deluxe di gestione ecclesiastica la cui governance è infatti condivisa col prelato don Roberto Ferrari, una sorta di Richelieu. Inciuci coi parti- ti, marchette a destra e manca, frodi infinite. Nel film nessuno meglio di Valerio Binasco e Bebo Storti potevano restituire la tragica eppur beffarda malvagità di questi individui, il cui modus agendi riconduce a personalità note della società e politica italiana.
PICCOLI B. crescono? Ma Giordana a questo giro non si scompone. “Avevamo in mente un’infinità di personaggi pubblici che vediamo ammorbarci quotidianamente, ma evito nomi non per timore, bensì perché non erano loro il nostro bersaglio; a interessarci era infatti la deriva del loro modello, il piccolo carrierista dirigente, meschino in ogni senso, il grado zero della dignità e della vergogna”. Ma Nome di donna è anche un film sulla complicità colpevole, sull’omertà “quel termine che esiste solo nella lingua italiana”, denuncia il cineasta. In tal senso Nina diventa la portavoce che rompe il ghiaccio di un’incrostazione di stampo mafioso provinciale – nel caso del film – e nazionale nel caso reale. “Tu puoi fare qualcosa, bisogna iniziare e poi le altre ti seguono” le suggerisce Giovanna, l’attivista della Cgil a cui Nina si rivolge in prima istanza. E questo perché “bisogna intervenire da dove tutto comincia, dalla nostra soglia di tolleranza. Infatti, prima di combattere contro la mentalità degli uomini bisognerebbe lavorare su quella di noi donne”.
Il cineasta milanese “Asia Argento è stata lasciata da sola. Contro di lei comportamenti meschini e ipocriti, persino dalle colleghe che le sono state ostili”