Le nostre giornate a casa di Eco a discutere dei temi più attuali
Gillo
Dorfles c’è sempre stato, nelle università, nelle gallerie, nei caffè letterari (una volta c’erano), nelle case in cui si discuteva d’arte contemporanea (c’erano. E poiché Gillo era sempre contemporaneo, e spesso un po’ più avanti, di ciò che accadeva nella cultura e nell’arte, nell’insegnamento e nella critica, avevi la strana impressione di contemporaneità permanente fra lui, il momento storico e gli eventi. È raro e quasi mai accaduto restare annunciatori del nuovo mentre si diventa vecchi, sempre più vecchi. E sempre più protago- nisti del nuovo. Due cose ti vengono in mente subito, mentre apprendi la notizia della scomparsa di Gillo Dorfles: la vastità del suo attivismo intellettuale e la vastità della sua vita. Si tratta di due meraviglie, come si dice, dei fatti della natura. Non è il tentativo di un complimento, è una constatazione. Certo molto dipende dallo strano tipo di emozione che colpisce quelli di noi che non ricordano tempi senza Gillo Dorfles. Molto dipende dalla qualità, viva, scattante, persino iperattiva del suo pensare, scrivere, sperimentare, partecipare. E molto dal livello. Durare molto e durare alto in uno spazio intellettuale critico e inventivo quasi senza confini, è qualcosa che ti meravigliava allora e ti meraviglia adesso.
“ALLORA” (Gillo, uomo ben portante di mezza età, docente attivo, presenza simpatica nei gruppi, persona cercata dai nuovi giovani) Gillo potevi trovarlo al “Giamaica”, uno sboccato caffè-birreria di Milano (con Umberto Eco), al caffè “Verri” (un locale sottovoce dove Luciano Erba si incontrava con Balestrini, dove è nata la rivista di Anceschi, con la partecipazione di Eco e di molti di noi che sarebbero diventati Gruppo 63), nelle due case di Eco a Milano. E Gillo Dorfles c’era spesso, seduto sul bracciolo di un divano a discutere con Umberto di un evento, una forma, un oggetto, un concetto. Io venivo dalla fabbrica di Ivrea ed ero condizionato dalle forme del bello imparate accanto a Olivetti. Dorfles era il teorico, il punto di riferimento critico di tutto il nuovo (moltissimo) che Milano produceva per il mondo, da Munari a Vignelli (che trionfava a New York, inseguito dalla conversazione mai finita con Dorfles) da Gae Aulenti a Gregotti. Gillo aveva passato i cento anni e arrivava da solo da Trieste a Milano, a casa di Eco, riusciva a non fare il vecchio, spostando subito la
A un certo punto si alzava, mani sulle ginocchia, diceva ‘forse è un po’ tardi’ e se ne andava da solo
conversazione su un fatto nuovo o su una polemica di quei giorni. E tutti, senza mai confidarcelo, aspettavamo il momento in cui si alzava, mani sulle ginocchia, senza esitazione e senza aiuto, diceva “forse è un po’ tardi” e se ne andava da solo verso la porta, voltandosi per precisare la risposta a un’ultima argomentazione. Mancava totalmente in lui sia la meraviglia per essere, come dire, “un po’ avanti negli anni” e un po’ più agile dei suoi “vecchi amici” ottuagenari, sia l’orgoglio o il compiacimento di dire “ma lo sai quanti anni ho?”. È una frase mai sentita da Dorfles. Lo legava a Eco, oltre alla rara estensione del campo di interessi, interventi, presenza e scrittura, prima di tutto la vocazione all’estetica, che era sempre rimasto il centro, attraverso una sequenza di vita e di avventure intellettuali diverse. Tutti e due disegnavano bene e scarabocchiavano fogli. Un carico sempre nuovo di umorismo ha spinto Eco a riempire interi quaderni di vignette che gli avrebbero dato da vivere nei migliori giornali. Dorfles è diventato pittore, e il dipingere è stato importante a un certo punto della sua vita, anche perché in questo modo continuava il suo lungo dialogo con il mutare delle forme. Era una intelligenza limpida, un maestro ma anche, fatto raro, un creatore, nella sua opera critica. Per forza ci mancherà. Prima d’ora non c’è mai stato un tempo senza Gillo Dorfles.