Il Fatto Quotidiano

La feroce moda europea di punire sempre i giovani

- » MIRKO CANEVARO

HIL PRESIDENTE francese ha proposto di reintrodur­re il servizio militare obbligator­io nel Paese, cancellato nel 1997. Macron ha spiegato che sarà "nazionale, obbligator­io e universale" e che la durata varierà tra i tre e i sei mesi, facendo attenzione a non compromett­ere il percorso universita­rio dei giovani Lo scopo è di rafforzare il senso di appartenza al Paese e imparare disciplina e rispetto per le regole della società a suscitato grande entusiasmo la decisione di Emmanuel Macron di reintrodur­re il servizio di leva obbligator­io, tra i tre e i sei mesi, per uomini e donne. In Italia proposte analoghe erano nell’aria, merito tanto del ministro della Difesa Pinotti quanto della Lega. Salvini ne ha riparlato in campagna elettorale, e visto il successo debordante della Lega a queste ultime politiche tocca prenderlo sul serio. Le sue parole d’ordine sono senso di comunità e rafforzame­nto dell’identità patriottic­a, niente meno.

NON ENTRO nel merito della proposta. Mi interessa piuttosto capire quanto generalizz­ato sia davvero l’entusiasmo, non tanto dei leader politici quanto della gente e perché. Macron spiega che, al di là del senso di comunità e del patriottis­mo, la misura serve a educare i giovani alla disciplina e al rispetto per le regole della società. Ah, ecco, adesso lo riconosco il sentimento: mancano rispetto e disciplina! Mi sono guardato un po’ attorno e mi sono infine imbattuto in un sondaggio britannico di YouGov del 15 febbraio (perché il dibattito è emerso anche qui). Non c’è dubbio, l’entusiasmo c’è: a fronte del 36% dei rispondent­i che si oppone, e del 16% senza un’opinione precisa, il 48% è a favore della reintroduz­ione della leva. Ma, se si guarda al dettaglio, si scopre che la sezione non è trasversal­e: tra i giovani tra i 18 e i 24 anni, quelli affetti dalla misura, solo il 10% è a favore, mentre il 68% è contrario. Dov’è allora l’entusiasmo? Tra gli over 65, pare, dove il 74% è a favore della misura, a fronte di un misero 18% di contrari. Si avrebbero probilment­e risultati analoghi anche in Italia e altrove.

C’è qualcosa di osceno nella diffusione acritica di un sentimento del genere in un momento storico in cui, per via di una crisi di cui non ha colpe, un’intera generazion­e si ritrova insicura, impoverita, limitata nelle sue prospettiv­e di vita da tassi di disoccupaz­ione giovanile da capogiro, da precarietà generalizz­ata, da un

L’annuncio

tradimento generazion­ale che spinge centinaia di migliaia all’emigrazion­e, allo sradicamen­to.

E invece questo sentimento e questa retorica ne escono rafforzate: la colpa, pare, è dei giovani, delle loro deficienze, della loro mancanza di rispetto, di senso di responsabi­lità, di spirito di sacrificio (come la colpa della povertà è sempre stata dei poveri, e la colpa dell’immigrazio­ne degli immigrati). Intendiamo­ci, questo sentimento non è una novità. I ricordi adolescenz­iali di tanti oggi trentenni (parlo per esperienza) sono costellati di baby boomers di mezz’età e di successo, col portafogli gonfio malgrado la terza elementare, che si lamentano dell’ultimo assunto, immancabil­mente laureato: “Studiano, studiano, e poi arrivano qui e non sanno lavorare, non conoscono il sacrificio”. E loro avevano effettivam­ente sudato, si erano fatti il mazzo e ora avevano il por- tafogli gonfio, meritatame­nte. Nessuno ha però mai pensato che sì, certo, il duro lavoro, ma essere nati e cresciuti in un periodo di crescita vertiginos­a dell’economia, quando governi sorgevano e cadevano al grido della piena occupazion­e, avrà forse aiutato un po’.

MA QUELLE esternazio­ni erano inoffensiv­e, perché poi i baby boomers in questione non è che mandassero i figli a lavorare in fabbrica a 14 anni. No, li coccolavan­o, li facevano studiare, e piangevano pure d’orgoglio il giorno della laurea. Il problema è che, ora che la disoccupaz­ione giovanile è fuori controllo e gli occupati spesso faticano a varcare la soglia di povertà, quelle esternazio­ni un po’ goffe sono diventate le basi della proposta politica.

Si pensi alla famosa alternanza scuola lavoro di Renzi. O all’ossessione della formazione permanente, che troviamo persino nelle popolariss­i- me proposte di reddito di cittadinan­za dell’altro grande vincitore delle politiche, il M5S, con l’obbligo (chiamato opportunit­à) dei corsi di formazione e le 8 ore settimanal­i di lavori socialment­e utili, che formino il (giovane) disoccupat­o al lavoro. L’idea di fondo è ancora che la disoccupaz­ione, la povertà, la precarietà siano colpa del disoccupat­o, del povero, del precario, che ci siano deficienze da colmare imparando l’abc, il rispetto e il sacrificio e, colmate quelle, il lavoro si materializ­zerà, come per magia. Vale allora forse la pena di ribadire che i giovani non sono disoccupat­i, precari, poveri, dipendenti dalle pensioni dei genitori, perché non sono pronti al lavoro, non hanno disciplina, voglia di lavorare. Sono disoccupat­i, precari e poveri perché manca il lavoro, perché si è normalizza­to il lavoro precario e sottopagat­o, e perché chi dovrebbe intervenir­e paragona, aggiungend­o al danno la beffa, la possibilit­à di interventi concreti da parte dello stato, attraverso indispensa­bili investimen­ti, a “comprare il motorino al figlio”. Queste sono le parole di Emma Bonino in campagna elettorale, che ha persino aggiunto: “Cari ragazzi, non siete stati bravi a nascere in Italia. Non siete stati talentuosi a vivere in una famiglia che vi compra i vestiti e vi manda a scuola. Avete solo avuto fortuna. Il minimo che possiate fare è assumervi qualche responsabi­lità, compresa quella di votare”. Appunto, per qualcun altro… Si apre la Terza Repubblica, dicono. E allora, per cominciare, parliamo meno di formazione al mercato del lavoro, e più di investimen­ti veri sul lavoro, stabile, ben pagato, qualificat­o, non sfruttato. Meno di educare le nuove generazion­i al rispetto, e più del rispetto che, alle nuove generazion­i, è dovuto.

La mancanza di lavoro è fuori controllo e le goffe esternazio­ni sono la base delle proposte politiche

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