Il Pd in freezer: niente governi Martina fa il segretario findus
Renzi non si fa vedere, ma detta ancora la linea anti-Di Maio
■“Stiamo all’opposizione, tocca agli altri fare l’esecutivo”. Almeno fino a giugno i Dem non hanno intenzione di muoversi. Il ministro diventa reggente. La battaglia si sposta nei gruppi di Camera e Senato: ipotesi riconferma Rosato e Zanda
“Le dimissioni di Matteo Renzi esempio di stile e coerenza politica. Dalla sconfitta il Pd saprà risollevarsi, con umiltà e coesione. Ora fiducia in Maurizio Martina ”. Iltwe et di Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio, arriva pochi minuti dopo il voto della direzione del Pd. E sancisce uno stato di fatto, che si può guardare da più prospettive: il segretario è fuori; la linea politica resta la sua; il Pd lavora a un “accordone” complessivo. La relazione di Martina – vice segretario reggente – passa all’unanimità, con 7 astenuti. E ribadisce il no a un governo con i Cinque Stelle e con la Lega (“Ora il tempo della propaganda è finito. Lo dico in particolare a Lega e Cinque Stelle: cari Di Maio e Salvini, prendetevi le vostre responsabilità”). Passa anche il no a un congresso subito.
NELLO STESSO tempo, però, la direzione incassa le dimissioni del segretario, consegnate a una lettera letta da Matteo Orfini, nella quale si dice che Renzi spiegherà le sue motivazioni in Assemblea. Non erano scontate, con questa rapidità il 5 marzo. E lo stesso Martina assicura di voler guidare il partito in maniera collegiale.
Al Nazareno ci sono tutti i big, da Gentiloni all’esordiente Carlo Calenda (seduto in prima fila proprio di fianco al premier e a Maria Elena Bo- schi). Ci sono Dario Franceschini e Michele Emiliano, Graziano Delrio e Andrea Orlando. Renzi è assente. Ci sono i suoi, da Luca Lotti a Francesco Bonifazi. Silenti. L’ex segretario si è fatto sentire con un’intervista al Corriere della Sera, nella quale si è tolto qual- che sassolino dalle scarpe: “Qualche dirigente medita il trasformismo? Forse. Del resto la viltà di oggi fa il paio con la piaggeria di ieri”. E soprattutto con la E-news: “Io non mollo. Mi dimetto da segretario del Pd come è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri”. In questi giorni ha ripetuto a molti: “Non esisto, farò il senatore semplice. Ci sono altri di cui parlare”. Ma, ancora una volta, prova a condizionare le scelte politiche di tutti.
In direzione è il convitato di pietra. Tra i big intervengono in pochi. Vincenzo De Luca, Graziano Delrio e Andrea Orlando. Delrio si attesta sulla linea dell’opposizione, come l’ormai ex segretario. Orlando paragona Renzi a Mao e a Martina chiede garanzie. Silenti gli altri. A partire da Dario Franceschini. Perché da adesso al l’Assemblea ( prevista da metà aprile in poi), si contano le truppe e si lavora a un accordo, tra tutti. I big di maggioranza non renziana (dal premier a Marco Minniti, anche lui ieri al Nazareno) spingono un Pd guidato da Martina, eletto in Assemblea, con la conferma di Ettore Rosato e Luigi Zanda capigruppo. I renziani ipotizzano piuttosto l’elezione di Delrio, con le stesse modalità (anche se il ministro sta dicendo a tutti che lui non vuole), con capigruppo renziani: alla Camera Rosato o Lorenzo Guerini e al Senato, Teresa Bellanova o Andrea Marcucci. La prima prova – quella dell’elezione dei capigruppo – testerà le forze in campo.
DELRIOe Martina non sono gli unici candidati. Ieri a Otto e mezzo da Lilli Gruber, Matteo Richetti ha detto: “Il Congresso ci sarebbe tra 4 anni. L’assemblea deciderà se mantenere o anticipare questa scadenza. È successa una cosa talmente enorme che giustifica una fase straordinaria”. Ma soprattutto: “Io candidato? Quando decidiamo il giorno delle primarie, risponderò a questa domanda”. Un altro che si è candidato alla guida del Pd, in caso di primarie, è Nicola Zingaretti, governatore del Lazio. Due nomi che potrebbero essere in campo subito, se le ipotesi di accordo fallissero, o per un eventuale congresso nel 2019 (o magari nel 2021). Nel frattempo, ieri Cuperlo ha detto: “Noi non dovremo fare la stampella di nessuno”, ma anche che il Pd dovrebbe entrare in un eventuale governo di scopo. L’approdo di un governo del Presidente, dopo aver fatto fallire sia Di Maio che Salvini, è un’opzione per il Pd intero. Ma se ne parla a giugno. In mezzo può succedere di tutto.
Parte la conta Oltre al reggente, candidati segretari Delrio, Richetti e Zingaretti