Il Fatto Quotidiano

Olimpiadi, Malagò prende tempo: vuole Milano

L’apertura dei 5Stelle non scalda il vertice dello Sport. Zaia candida le Dolomiti

- » LORENZO VENDEMIALE

Torino

che fa un passo indietro e uno avanti, il Coni che ha in testa solo Milano ma non può dirlo, il Veneto che sfrutta la confusione generale per proporre un’autocandid­atura abbastanza strampalat­a. La corsa alle Olimpiadi invernali del 2026 si sta trasforman­do nella solita farsa all’italiana: tutti che parlano, nessuno che sa davvero come stiano le cose.

ALLA FINE to ccherà al governo centrale dare o meno il via libera (e metterci i soldi, tanti o pochi che siano). Solo che al momento un governo non c’è, il discorso è rinviato a data da destinarsi. E allora magari al tavolo finale si ritroveran­no il numero uno dello sport, Giovanni Malagò, e Luigi Di Maio, se non proprio da premier comunque da capo politico del primo par- tito in Parlamento. Un anno e mezzo dopo il gran rifiuto di Virginia Raggi a Roma 2024, la palla olimpica potrebbe ritornare nelle mani del Movimento. Per questo la recente apertura di Beppe Grillo (che ha definito la candidatur­a di Torino “una grande occasione”) è stata accolta con entusiasmo: “Chiunque rappresent­a lo sport non può che essere contento di un endorsemen­t pro Olimpiadi, tanto più se viene dal garante di un Movimento che rappresent­a così tante persone nel P ae s e”, il commento di Malagò. Anche se la frase di Grillo non sembra essere bastata a sciogliere tutti i dubbi interni al Movimento, sia a livello locale (come dimostrano i problemi in Consiglio della Appendino) che nazionale. E poi era riferita a Torino, città governata dai 5 stelle e dove ci sono già gli impianti dell’edizione del 2006 che potrebbero garantire un risparmio. Chissà se varrà anche per Milano, la candidata designata del Coni.

Al Foro Italico, infatti, hanno le idee chiare: un progetto low cost, con il capoluogo lombardo capofila di una candidatur­a che comprende la Valtellina (con lo sci a Bormio) e il Piemonte per un paio di discipline minori, e pochi soldi pubblici grazie ai contributi Cio e gli investimen­ti dei privati. Dunque Milano e non Torino (del Veneto neanche a parlarne), per una questione di appeal internazio­nale (i bis troppo ravvicinat­i non sono graditi) ma anche politica: il precedente della Raggi nella Capitale è una ferita ancora aperta e riproporre un’altra città con un’amministra­zione a 5 stelle rischiereb­be di indebolire la candidatur­a.

Adesso, però, bisogna aspettare il nuovo esecutivo. “Servono tre gambe di un tavolo, al momento ce ne sono due. Quando ci sarà il governo ne parleremo”, frena Malagò, che ha spiegato la situazione al capo del Cio, Thomas Bach, prendendo tempo almeno fino a dopo l’estate. La firma dell’esecutivo, del resto, è attesa solo per gennaio 2019. Al Coni tifavano per le larghe intese: ora sperano che a Palazzo Chigi arrivi il centrodest­ra (la Lega sogna da sempre di portare i Giochi nel Nord), confidano nel fatto che con questi numeri comunque non potrà esserci un monocolore M5S, ma si preparano a parlare anche con Di Maio, che per il momento è rimasto in silenzio.

LUI È L’UNICO che potrebbe scompagina­re le carte in tavola, magari pretendend­o un coinvolgim­ento maggiore della città governata dalla Appendino (ma potrebbe essere la stessa sindaca a preferire la formula meno impegnativ­a della comparteci­pazione), o dettando altre condizioni. Ammesso che il Movimento abbia davvero cambiato idea sulle Olimpiadi, e non finisca come per Roma 2024.

L’attesa

Il presidente del Comitato: “Bene le parole di Grillo, ma ancora non c’è un governo”

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Ansa Il capo Giovanni Malagò, presidente del Coni e commissari­o della Serie A di calcio
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