“Con Facebook abbiamo venduto le nostre vite”
Alla fiera della privacyIl social travolto dallo scandalo di Cambridge Analytica ri-crolla in Borsa. Emergono le falle nella protezione degli utenti, ora in rivolta
La sola elencazione di tutto ciò che sta accadendo in queste ore basta a tracciare il quadro della situazione. Lato Facebook: l’azienda perde il 9,7 per cento in Borsa (ha bruciato 9 miliardi di dollari in due sedute) il posto di Alex Stamos, responsabile per la sicurezza di Menlo Park, sembra sia prossimo a saltare, si è parlato del rischio che se ne vada anche la direttrice generale Sheryl Sandberg e per venerdì è stato annunciato un incontro con tutti i dipendenti ma sembra che il fondatore Mark Zickerberg non ci sarà. Ricordiamolo: Facebook è accusato di aver permesso a una società esterna - che aveva sviluppato una app autorizzata dal social - di cedere illecitamente ad altri molti dati raccolti. Ma soprattutto, di averlo saputo da un paio di anni e di averlo taciuto.
LATO CAMBRIDGE Analytica: è la società accusata di aver effettuato micro dossieraggi, psicologici ed emotivi, sugli utenti per cucirgli addosso la propaganda politica. Ieri ha sospeso l’ad Alexander Nix: u n’inchiesta dell’e m it t e nt e britannica Channel 4 aveva mostrato Nix proporre operazioni sporche per vincere le elezioni a quello che credeva essere un potenziale cliente, dalla diffusione di notizie false sul web a trappole per screditare i politici con ragazze compiacenti. Ieri sera, poi, è venu- to fuori che in una delle conversazioni Nix avrebbe affermato di aver incontrato molte volte Trump e di aver ammesso “Lo abbiamo fatto vincere noi". Cambridge Analytica, infatti, si è direttamente occupata della campagna elettorale del presidente Usa, essendo strettamente legata e pagata dagli ambienti repubblicani. Quello che sarebbe venuto fuori in più rispetto alla sola targetizzazione di 50 milioni di utenti (dati stimati dal WsJ e dal Guardian nell’inchiesta che ha dato origine a tutto): Nix avrebbe ammesso di aver inserito nel circuito contenuti “non attribuibili e impossibili da tracciare”. Negli Stati Uniti l’Autorità in tutela dei consumatori ha aperto un’inchiesta e in Gran Bretagna la commissione Cultura, Media e Digitale della Camera ha convocato Mark Zuckerberg, invitato anche dal presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani.
LATO VIGILANZA. E mentre sui social network montava la protesta a colpi di hashtag contro Facebook, ieri il garante Ue per la privacy, Giovanni Buttarelli, ha presentato il rapporto annuale sulla privacy. Una delle vulnerabilità segnalate, la pratica della micro profilazio- ne a scopi politici. Tra i riferimenti contenuti nel rapporto c’era infatti un’interessante ricerca del sito ProPublica che ha raccontato sia come gli utenti siano catalogati da Facebook in base ai loro interessi (con una app sono riusciti a identificare almeno 52 mila categorie, che includono defini- zioni come “Ama scrivere in luoghi strani” oppure “Allattamento al seno”) ma anche in base a dati che Facebook acquista da aziende terze, i cosiddetti broker di dati (chi scrive ha analizzato la pagina “Le tue preferenze relative alle inserzioni” e ha scoperto tutte le categorie a cui Facebook crede di poter legare i suoi gusti: molte sono decisamente distanti dalla verità).
LATO ITALIA. Se Buttarelli ha lanciato l’allarme per le prossime elezioni europee e ha ammesso che non c’è al momento evidenza di ingerenze modello Usa nelle elezioni italiane del 4 marzo, ieri si è risvegliata l’Agcom nel suo recente ruolo di sceriffo del web (assunto l’anno scorso per difendere gli italiani dalle fake news). Ha sostenuto di aver chiesto a Facebook informazioni sulla gestione dei servizi durante la campagna elettorale “con particolare attenzione alla ‘parità d’accesso’”. Poi il numero di messaggi pubblicitari a carattere politico, degli inserzionisti, delle visualizzazioni, la lista dei soggetti politici coinvolti, quelli che hanno pubblicato contenuti. Il punto, però, ora è uno: il web può essere regolato alla stregua della tv?
“Ecco cosa ti piace” Un’indagine di ProPublica identifica 52 mila categorie usate per schedare i profili