Contro la povertà spendiamo molto, ma ai poveri briciole
▶SI DICE SEMPRE
che l’Italia spende poco per le politiche sociali. Ma non è vero. Nel 2014 la spesa assistenziale ammontava a 72 miliardi di euro, 4,5 punti di Pil. L’Inps ne eroga 53 miliardi eppure al 44 per cento delle famiglie in povertà assoluta non arriva un centesimo, idem per il 24 per cento di quelle in povertà relativa (parliamo di famiglie che hanno un reddito di circa 500 euro al mese per vivere). Ovviamente la colpa non è dell’Inps, ma di un impianto di politiche contro la povertà vecchio e superato. Il libro di Emanuele Ranci Ortigosa, presidente emerito e direttore scientifico dell’Istituto per la ricerca sociale, aiuta a capire i numeri del disagio e quali sono le risposte di politica economica in campo. La vera discontinuità rispetto al passato è il Rei, il Reddito di inclusione che è partito davvero solo a gennaio 2018 ed è dal monitoraggio di quella misura, a sua volta evoluzione del “Sostegno di inclusione attiva”, che deve svilupparsi il dibattito sul reddito di cittadinanza, troppo spesso fermo agli slogan di principio. Già dai primi mesi di sperimentazione del Rei si è capito che i bisogni tra i poveri sono molto diversi, alcuni hanno bisogno di assistenza nella ricerca del lavoro altri hanno problemi più profondi che richiedono il coinvolgimento dei servizi sanitari. E coordinare tutti questi pezzi diversi della Pubblica amministrazione non è facile (il 15 per cento del budget del Rei va proprio in spese amministrative). Come scrive Ranci Ortigosa, “una lotta alla povertà che si limita a fornire denaro e che trascura i sostegni per fronteggiare l’eventuale incapacità di usarlo, rischia di essere miope e monca per i più fragili”.