Bancarotta liberatutti Weinstein è una valanga
Fallisce la società del produttore accusato di molestie. Le clausole di riservatezza con vittime e testimoni non saranno più valide
Bancarotta liberatutti. Era nell’aria già da un po’ il fallimento della casa di produzione della famiglia Weinstein, che Harvey e il fratello Bob avevano fondato insieme nel 2005. Più importante dello stesso atto del portare i libri in tribunale, sono però le conseguenze sulle vittime (o presunte tali) del produttore caduto in disgrazia, che d’ora in poi non saranno più tenute a onorare il vincolo di riservatezza con la società. Difficile dire se si aprirà una nuova ondata di denunce come quelle che portarono all’incriminazione di Harvey lo scorso ottobre. Una cosa però è certa: la Weinstein Company è la prima società hollywoodiana a fallire sotto i colpi delle accuse di molestie o violenze sessuali.
L’atto formale si è consumato in un tribunale fallimentare del Delawere, dove la major ha anche annunciato un accordo per vendere i suoi asset alla Lantern Capital Partners, società del Texas specializzata in questo tipo di operazioni finanziarie (in gergo definite private equity). “Anche se va in bancarotta, la società rimane impegnata a fare tutto il possibile per massimizzare il valore per i suoi creditori e portare avanti la ricerca della giustizia per qualsiasi vittima”, ha comunicato la compagnia, da mesi impegnata nella difficile operazione del ritorno alla credibilità. Già l’8 ottobre 2017, pochi giorni do- po le prime rivelazioni sulle presunte molestie, il consiglio d’amministrazione della W ei n st ei n C om p a ny aveva estromesso il fondatore dalla carica di presidente. All’inizio di marzo, invece, l’annuncio della possibile acquisizione da parte di una cordata di imprenditori, per giunta a maggioranza femminile, guidata d al l’ex capo del Dipartimento delle Piccole e Medie Imprese del l’amministrazione Obama Maria Contreras-Sweet. Operazione da 500 milioni di dollari, compresi 225 di debiti, che però non è andata a buon fine.
Più interessante della mesta procedura fallimentare, è la comunicazione che la società in via d’estinzione ha diffuso. “Da ottobre viene detto che Harvey Weinstein ha usato le clausole di riservatezza che impediscono le divulgazioni (‘ non-disclosure agreements’ nel testo originale inglese), come arma segreta per silenziare i suoi accusatori”, si legge nella nota.
Indennizzi addio
Per le donne che hanno subito le violenze sfumano le prospettive di risarcimento
“QUESTI ACCORDI CESSANO ora con effetto immediato. Nessuno dovrà più quindi aver paura di parlare apertamente, né sentirsi costretto in alcun modo a restare in silenzio”. Affermazione salutata come “in grado di liberare le tante voci di vittime finora costrette al silenzio”, dal procuratore generale di New York Eric Schneiderman. Non a caso, dato che proprio nella Grande Mela, il produttore avrebbe compiuto molte delle violenze ai danni principalmente di giovani attrici, e che gli inquirenti newyorchesi cercano da mesi – per ora invano - l’incriminazione formale, ma soprattutto l’arresto e il processo che avrebbero certamente anche un lato spettacolare.
Lo scandalo Weinstein è esploso grazie alle rivelazioni di due inchieste giornalistiche, una del quotidiano New York Times e l’altra del mensile New Yorker. Potentissimo a Hollywood, fondatore della Miramax negli anni 80 e poi della società che porta il nome di famiglia, Harvey Weinstein è stato per anni il mentore di re- gisti come Quentin Tarantino, Woody Allen, Steven Soderbergh o Martin Scorsese. Accusato di molestie o violenze sessuali in casi che risalirebbero anche a 30 anni fa da centinaia di attrici più o meno note, tra cui Asia Argento, che hanno iniziato la rivolta del #MeToo , Weinstein ha visto la sua fortuna sgretolarsi in un tempo relativamente molto breve (meno di sei mesi) rispetto alla sua lunga carriera.