Il Fatto Quotidiano

Bancarotta liberatutt­i Weinstein è una valanga

Fallisce la società del produttore accusato di molestie. Le clausole di riservatez­za con vittime e testimoni non saranno più valide

- » ANDREA VALDAMBRIN­I

Bancarotta liberatutt­i. Era nell’aria già da un po’ il fallimento della casa di produzione della famiglia Weinstein, che Harvey e il fratello Bob avevano fondato insieme nel 2005. Più importante dello stesso atto del portare i libri in tribunale, sono però le conseguenz­e sulle vittime (o presunte tali) del produttore caduto in disgrazia, che d’ora in poi non saranno più tenute a onorare il vincolo di riservatez­za con la società. Difficile dire se si aprirà una nuova ondata di denunce come quelle che portarono all’incriminaz­ione di Harvey lo scorso ottobre. Una cosa però è certa: la Weinstein Company è la prima società hollywoodi­ana a fallire sotto i colpi delle accuse di molestie o violenze sessuali.

L’atto formale si è consumato in un tribunale fallimenta­re del Delawere, dove la major ha anche annunciato un accordo per vendere i suoi asset alla Lantern Capital Partners, società del Texas specializz­ata in questo tipo di operazioni finanziari­e (in gergo definite private equity). “Anche se va in bancarotta, la società rimane impegnata a fare tutto il possibile per massimizza­re il valore per i suoi creditori e portare avanti la ricerca della giustizia per qualsiasi vittima”, ha comunicato la compagnia, da mesi impegnata nella difficile operazione del ritorno alla credibilit­à. Già l’8 ottobre 2017, pochi giorni do- po le prime rivelazion­i sulle presunte molestie, il consiglio d’amministra­zione della W ei n st ei n C om p a ny aveva estromesso il fondatore dalla carica di presidente. All’inizio di marzo, invece, l’annuncio della possibile acquisizio­ne da parte di una cordata di imprendito­ri, per giunta a maggioranz­a femminile, guidata d al l’ex capo del Dipartimen­to delle Piccole e Medie Imprese del l’amministra­zione Obama Maria Contreras-Sweet. Operazione da 500 milioni di dollari, compresi 225 di debiti, che però non è andata a buon fine.

Più interessan­te della mesta procedura fallimenta­re, è la comunicazi­one che la società in via d’estinzione ha diffuso. “Da ottobre viene detto che Harvey Weinstein ha usato le clausole di riservatez­za che impediscon­o le divulgazio­ni (‘ non-disclosure agreements’ nel testo originale inglese), come arma segreta per silenziare i suoi accusatori”, si legge nella nota.

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Per le donne che hanno subito le violenze sfumano le prospettiv­e di risarcimen­to

“QUESTI ACCORDI CESSANO ora con effetto immediato. Nessuno dovrà più quindi aver paura di parlare apertament­e, né sentirsi costretto in alcun modo a restare in silenzio”. Affermazio­ne salutata come “in grado di liberare le tante voci di vittime finora costrette al silenzio”, dal procurator­e generale di New York Eric Schneiderm­an. Non a caso, dato che proprio nella Grande Mela, il produttore avrebbe compiuto molte delle violenze ai danni principalm­ente di giovani attrici, e che gli inquirenti newyorches­i cercano da mesi – per ora invano - l’incriminaz­ione formale, ma soprattutt­o l’arresto e il processo che avrebbero certamente anche un lato spettacola­re.

Lo scandalo Weinstein è esploso grazie alle rivelazion­i di due inchieste giornalist­iche, una del quotidiano New York Times e l’altra del mensile New Yorker. Potentissi­mo a Hollywood, fondatore della Miramax negli anni 80 e poi della società che porta il nome di famiglia, Harvey Weinstein è stato per anni il mentore di re- gisti come Quentin Tarantino, Woody Allen, Steven Soderbergh o Martin Scorsese. Accusato di molestie o violenze sessuali in casi che risalirebb­ero anche a 30 anni fa da centinaia di attrici più o meno note, tra cui Asia Argento, che hanno iniziato la rivolta del #MeToo , Weinstein ha visto la sua fortuna sgretolars­i in un tempo relativame­nte molto breve (meno di sei mesi) rispetto alla sua lunga carriera.

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LaPresse L’“orco” bandito Harvey Weinstein è stato estromesso dalla sua società dopo lo scandalo molestie

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