Il Fatto Quotidiano

I satelliti: le Ong si muovono appena partono gli scafisti

ESCLUSIVO Le inchieste sulle rotte dei migranti dalla Libia, fra Servizi e polizia giudiziari­a

- » ANTONIO MASSARI

■Mentre il gip di Catania decide se convalidar­e il sequestro della “Proactiva”, ecco cosa accade “sopra” il Mediterran­eo: indagini che finiscono direttamen­te in un Paese straniero. Il nodo giuridico e diplomatic­o

L’inchiesta della Procura di Catania, che ha portato al sequestro della nave Oper Arms della Ong spagnola Proactiva e conta tre indagati, con l’accusa di associazio­ne per delinquere finalizzat­a al favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a, è solo un tassello d’un mosaico molto più complesso. C’è un ruolo delle nostre agenzie di sicurezza nelle altre inchieste delle Procure italiane sulle Ong: il Fattoè in grado di rivelare che attività d’intelligen­ce e di polizia giudiziari­a procedono congiuntam­ente da mesi. È grazie a un satellite nella disponibil­ità del ministero della Difesa – e delle nostre agenzie – che i poliziotti del Servizio centrale operativo e gli investigat­ori della Guardia di Finanza, stanno raccoglien­do informazio­ni essenziali. Elementi che portano le Procure a ipotizzare contatti tra scafisti e Ong impegnate nei salvataggi. Semplifica­ndo, è come se il satellite fosse stato dato in “sub appalto” ad ufficiali di polizia giudiziari­a, per realizzare quel che non possono fare di persona: intercetta­re e filmare in territorio libico. Oppure, se vogliamo metterla diversamen­te, grazie alla tecnologia dei nostri Servizi, la polizia giudiziari­a è in grado di ottenere informazio­ni che poi, attraverso indagini sul territorio italiano, fa confluire nei fascicoli d’inchiesta. Nei fatti, stiamo svolgendo un’attività d’indagine in un Paese straniero, con tutti i relativi dubbi sotto il profilo diplomatic­o e giuridico. Utilizzabi­le o meno, però, c’è una verità che, per quanto scomoda, ha trovato conferma proprio grazie a questi mezzi investigat­ivi.

FILMATI e intercetta­zioni dei telefoni satellitar­i, per quanto risulta al Fatto, hanno convinto gli inquirenti che tra Ong e scafisti si siano realizzati nel tempo contatti che realizzava­no, nei fatti, un duplice effetto. Per le Ong – che erano in condizioni di conoscere in tempo reale la partenza dei barconi – s’è concretizz­ata la possibilit­à di effettuare salvataggi con il minimo rischio per i migranti. Per i trafficant­i, invece, ha preso corpo la possibilit­à di vendere ai migranti una sorta di viaggio in sicurezza, con incremento dei guadagni e riduzione delle spese, poiché hanno smesso di investire su natanti e gasolio.

In più di un’occasione, in- fatti, i filmati satellitar­i avrebbero riscontrat­o che, agli assembrame­nti dei migranti sulla costa, pronti a imbarcarsi, corrispond­evano precisi movimenti delle navi di alcune Ong. Un movimento sincronico che consentiva ai volontari di essere nel posto giusto al momento giusto. Un dato che – per quanto difficile sia documentar­e in un processo – ha convinto gli inquirenti della collaboraz­ione – ai soli fini umanitari, per le Ong – tra volontari e scafisti.

In soccorsoai nostri investigat­ori è giunta una sofisticat­a tecnologia israeliana. Anch’essa in uso ai nostri Servizi segreti, consente di ricostruir­e, con un buon margine di approssima­zione, gli spostament­i dei natanti anche quando spengono i loro trasponder. Dopo l’analisi effettuata, negli spostament­i in questione sono emerse altre coincidenz­e sospette che rafforzano l’ipotesi dei contatti tra scafisti e volontari. Nessuno ha però messo in discussion­e che l’intento delle Ong sia esclusivam­ente umanitario. Altrettant­o sicuro, tuttavia, secondo gli inquirenti, è che questi contatti abbiano in qualche modo agevolato il business dei trafficant­i. Se possa poi configurar­si, come sostiene per esempio la Procura di Catania, il reato di associazio­ne per delinquere finalizzat­o al favoreggia­mento dell’ immigrazio­ne clandestin­a, è tutto da dimostrare.

Di certo, però, c’è anche un altro dato: l’investimen­to del nostro Stato e dei nostri servizi segreti in Libia è sempre più intenso. Fonti qualificat­e confermano al Fattoquel che i Ser- vizi smentiscon­o da tempo: i maggiori trafficant­i libici sono pagati per interrompe­re gli sbarchi. L’Italia sta ufficialme­nte provvedend­o a implementa­re le capacità libiche nelle operazioni di soccorso in mare. Non solo con le navi che il governo ha donato al leader libico Fayez al Serraj. L’obiettivo: dotare le guardie costiere libiche – sono ben due, una del ministero della Difesa, l’altra degli Interni – di una sala operativa adeguata. Al momento, l’unica sala operativa in funzione è dotata d’un solo telefono satellitar­e, un paio di radio, un fax e qualche computer. Mancano radar – le acque vengono monitorate attraverso il sito online Marine Traffic – e controlli aerei. La Libia chiede ulteriori investimen­ti per bloccare il flusso di migranti dal Niger. E minaccia di far ripartire gli sbarchi se l’Italia non s’impegna ad alleggerir­e il tappo che sta creando in questi mesi. Un tappo che, come dimostra il report firmato dal presidente Onu, Antonio Gutierres, sta moltiplica­ndo le violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti.

Affiancame­nto Sofisticat­e tecnologie israeliane in “appalto” alla polizia giudiziari­a che fa le indagini Roma-Tripoli

Pagati i trafficant­i per lo stop alle partenze ma ora i libici chiedono altri aiuti

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Ansa Sui gommoni Migranti nel mare libico
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Una nave umanitaria nel Canale di Sicilia, a sinistra un operatore di Frontex (Ue)
Ansa/LaPresse Soccorsi Una nave umanitaria nel Canale di Sicilia, a sinistra un operatore di Frontex (Ue)
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