Così la Iervolino vietò alla Faranda le foto in via Fani
Sandra Amurri ricorda la cerimonia del 16 marzo 1999: un’agenzia mandò l’ex brigatista, il ministro Iervolino le disse di no
Governo D’Alema, 1998. Rosa Russo Iervolino viene nominata ministro dell'Interno. È la prima donna a sedere al Viminale, fin dalla nascita della Repubblica. E tuttora l’unica.
A quel tempo lavoravo per Sette , il settimanale del Corriere della Sera diretto da Andrea Monti. Il direttore mi manda a seguire il ministro per una settimana durante i suoi incontri istituzionali, anche europei. Ultima tappa, Roma, 16 marzo 1999, giorno in cui il ministro accompagna il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, a deporre la corona di alloro sul monumento, in via Fani, in memoria dei cinque agenti della scorta di Aldo Moro. Il direttore mi aveva avvisata che avrebbe inviato un fotografo, senza fare il suo nome, limitandosi a dirmi che l'avrei trovato ad attendermi al ministero. Appena arrivo, erano circa le 8 del mattino, vedo nella guardiola, seduta in un angolo, una donna la cui bellezza era rimasta intatta, per nulla sciupata dal tempo e dall'asprezza di una giovinezza vissuta in clandestinità prima e in carcere per 16 anni poi.
CAPELLI NERI lunghi, occhiali da sole, e un impermeabile che lasciava scoperte le ginocchia, calze nere e anfibi, se la memoria non mi inganna e macchina fotografica in spalla. Immediatamente capisco che è lei, Adriana Faranda. La tristemente famosa brigatista componente della direzione strategica all’epoca del sequestro Moro. La “postina”, con Valerio Morucci, delle lettere di Moro durante i 55 giorni di prigionia e, sgomenta, mi chiedo: ma che ci fa qui al Viminale, proprio oggi che vengono ricordati gli agenti trucidati dalle Br? L’idea che fosse lei la fotografa di Sette , nonostante quella macchina fotografica, non mi sfiora minimamente tanto mi sembra assurda. La guardo. Lei mi guarda. Conse- gno il documento di riconoscimento e salgo nell'ufficio del ministro Iervolino.
Giusto il tempo di salutarla, squilla il telefono, lei risponde, ripone la cornetta e il suo viso si sbianca. “Mi hanno avvisata che sotto c'è Adriana Faranda, la brigatista, dice che è la fotografa inviata dal suo giornale per seguirla durante la cerimonia. Non è possibile, mi scusi, ma non è possibile”, esclama la Iervolino. Io resto impietrita. Chiamo subito il direttore e scopro che neppure lui ne era a conoscenza in quanto era stata l'agenzia fotografica, per la quale lei lavorava, ad averla scelta. Sono attimi di panico. Il ministro resta immobile sulla sedia. Poi si alza e insieme scendiamo in guardiola. La Iervolino, debbo dire, con grande tatto umano, dopo averla salutata stringendole la mano, le spiega che la sua presenza suona come una sfida allo Stato: “Finiremmo sulle prime pagine di tutti i giornali che titolerebbero: il ministro dell'Interno commemora gli agenti di Moro uccisi dalle Br insieme alla brigatista Faranda. Non è possibile, sia ragionevole, non è possibile”. E conclude invitandola cortesemente ad andarsene prima che la notizia della sua presenza al ministero si diffonda.
Il confronto
Lei replicò: “Ho pagato” E l’ex dc: “Non può venire assieme a me nel luogo della strage”
ADRIANA FARANDA, senza alcun disagio apparente, con tono fermo risponde: “Ministro, ho scontato 16 anni, ho pagato la mia colpa, da un anno sono una donna libera”. A quel punto la Iervolino, sempre senza perdere la calma, con garbo le spiega ciò che avrebbe dovuto essere scontato: “Non ho nulla contro la sua persona che ha pagato il conto con la giustizia ma le ferite che ha, che avete inferto a quello Stato che io rappresento, resteranno aperte per sempre e non posso consentire a essere ‘accompagnata’ sul luogo dove, per mano delle Br sono stati massacrati cinque servitori dello Stato”. Lei resta qualche secondo in silenzio con la testa bassa. Poi, sussurrando un buongiorno se ne va. Io la saluto con un sorriso amaro pensando che la normalità, quella che lei, facendo la fotografa, tentava di conquistare, non sarebbe mai stata possibile perché la vita le avrebbe sempre ricordato che è Adriana Faranda, la brigatista che ha seminato morte e dolore. Ho sempre desiderato rincontrarla per chiederle con quale stato d'animo sarebbe tornata sul luogo dell'eccidio per immortalare quello stesso Stato che voleva annientare mentre onorava la memoria di Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Oreste Leonardi e Domenico Ricci, colpevoli di fare il loro dovere.