Il Fatto Quotidiano

Fico è in corsa, ma ora rischia

Oggi la riunione degli eletti confermerà il candidato a Montecitor­io Ma il veto sul nome del centrodest­ra può mettere a rischio l’elezione

- » LUCA DE CAROLIS

Punteranno sul “rosso”. Su Roberto Fico, l’ ortodosso degli ortodossi, con il cuore e le idee a sinistra. Quello che era grillino già molto prima del Movimento, tante volte contestato­re del candidato premier e capo politico, insomma di Luigi Di Maio. È lui il candidato del Movimento alla presidenza della Camera, che per la prima, vera partita dopo il 4 marzo cala una carta per parlare al Pd, alla sinistra, in vista di un accordo di governo che ad oggi è una speranza remota.

PERÒ PRIMA bisogna eleggerlo Fico: facile, ma non scontato. Perché il vertice del centrodest­ra rilancia il nome di Paolo Romani come prima scelta per la presidenza del Senato. E il Movimento a stretto giro di posta ribadisce il suo no, tramite la capogruppo alla Camera Giulia Grillo: “Non veniamo meno ai nostri principi, non votiamo indagati o sotto processo”. Formula peraltro incompleta, visto che Romani è stato condannato in via definitiva per peculato, (mentre la pena è ancora suscettibi­le di sconto, visto che la Cassazione ha rimandato la sentenza alla Corte d’appello per l’eventuale riduzione). Ma il senso è quello. E sembrerebb­e l’annuncio di uno scontro. Però in casa 5Stelle c’è grande ottimismo. “Se tutto va come deve, la chiudiamo facilmente” ragionava ieri sera un big. Ovvero, secondo il Movimento l’ipotesi Romani dovrebbe reggere poco. Il tempo di arrivare a una seconda opzione, ossia una tra Maria Elisabetta Casellati e Anna Maria Bernini, con quest’ultima che pare preferita dai 5Stelle. Ma il nodo è ovviamente Romani. E va risolto dentro il centrodest­ra. Come almeno apparentem­ente prova a fare Matteo Salvini, che ieri sera, a chi gli chiedeva del veto del Movimento al senatore forzista, ha seminato parole ecumeniche: “Ogni partiti ha nomi e cognomi condivisi da tutti”. Tradotto, basta togliere Romani, perché con il M5S è già tutto fatto. Consideraz­ione gradita dai 5Stelle, che sin dall’inizio hanno cercato l’intesa con il segretario della Lega. E che ora vedono vicino l’obiettivo. Ma è presto per festeggiar­e. Innanzitut­to, perché non è affatto scontato che si arrivi all’accordo prima dell’inizio delle votazioni, domani mattina. E poi c’è anche lo scenario peggiore che qualche parlamenta­re del M5S ieri sera paventava, quello del braccio di ferro. Con il centrodest­ra che in cambio della testa del forzista potrebbe esigere quella di Fico: da sempre ostile ad accordi con la Lega, durissimo con il Carroccio. E allora nel gioco dei veti incrociati il Movimento dovrebbe rimettere in partita il deputato Riccardo Fraccaro: trentino, fautore delle autonomie locali, moderato. È un’ipotesi residuale, perché Di Maio ha deciso per l’ortodosso, e vuole tenere il punto. Tanto c’è già che chi parla di vicepresid­enza per risarcire Fraccaro, favorito per giorni. Ma il quadro è ancora molto fluido, scivoloso. Quindi un piano B deve averlo, il Movimento, che oggi all’ora di pranzo riunirà alla Camera i suoi oltre 340 parlamenta­ri.

LA PRIMA ASSEMBLEA congiunta della nuova legislatur­a, in cui Di Maio spiegherà le ragioni della scelta per la presidenza di Montecitor­io: pretesa dal Movimento per avere un uomo di fiducia “che non permetta ai partiti di usare la ghigliotti­na e altre schifezze in Aula”. Cautela fondamenta­le, soprattutt­o se il M5S non riuscisse ad andare al governo. Di sicuro Di Maio ha deciso di puntare sull’ex presidenza della Vigilanza Rai per lanciare l’ennesimo amo al Pd. Ma anche per ragioni interne. Perché la sua nomina è un chiaro trofeo per la minoranza ortodossa, a cui il capo politico potrà chiedere massima disciplina da qui in avanti.

Quasi un’ossessione per Di Maio, che da settimane ripete ai suoi l’esigenza di essere “compatti”. Ma non solo. Perché da presidente della Camera Fico non potrà più essere una voce così rumorosa e magari scomoda dentro il Movimento. Ergo, citare la massima latina del “promuovere per rimuovere” non sembra così improprio. Consideraz­ioni a margine, prima delle votazioni in Aula. La prima sfida dopo il 4 marzo per Di Maio, uscito trionfator­e dalle urne. Ma i sorrisi e gli applausi non sono eterni. E quella per Montecitor­io è una corsa dove non può inciampare. Neppure lui, il capo che ha vinto.

Non veniamo meno ai nostri principi, non votiamo né indagati né persone sotto processo

GIULIA GRILLO

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