Il Fatto Quotidiano

“Sono nato prima della tv, la privacy è l’ultimo baluardo”

DAVID Il regista di “The Post” e “Ready Player One”: “Sono nato prima della tv”

- » FEDERICO PONTIGGIA

Non solo un blockbuste­r, ma “un atto di difesa dell’ultima libertà, la privacy”: Ready Player One arriva il 28 marzo nelle nostre sale, il suo regista Steven Spielberg è stato insignito del David di Donatello alla carriera. Spielberg, perché ha deciso di adattare il best-seller di Ernest Cline?

Non leggevo qualcosa di così entusiasma­nte dai tempi di Jurassic Park di Michael Crichton, ho pensato subito si potesse trarne un film popolare. Mi ha attratto l’idea di questi due mondi, reale e virtuale: è solo questione di anni, e pure noi avremo l’equivalent­e dell’Oasis creato da James Halliday, un social network nel cyberspazi­o. Anche lei è un creatore di mondi.

E mi identifico in Halliday, con qualche differenza: io non sono totalmente timido, soprattutt­o, io amo le persone, mentre lui ne ha paura. A n ch ’ io, poi, sono un nerd della prima ora, ma all’epoca non era così popolare esserlo, viceversa, oggi chiunque faccia cinema sembra voglia entrare nel club. Io ho fatto progressi, sono diventato un geek.

Forse non era nerd Stanley Kubrick, ma in Ready Player One gli tributa grandi onori. Omaggia Shining e ricrea l’Overlook Hotel. L’Overlook Hotel: Stanley per la prima volta l’ho incontrato lì, su quel set. I falegnami e i pittori avevano appena finito di allestirlo, eravamo solo noi due, nessun’altro. È nata una splendida amicizia, durata per 19 anni, fino alla morte di Kubrick.

Nemmeno tre mesi fa ha portato in sala The Post, un peana alla libertà di stampa: che cosa tiene insieme i due lavori? Possiamo leggere i giornali e contempora­neamente fruire un’esperienza virtuale, innanzitut­to. Io i giornali li leggo ogni mattina, di carta, voglio poterli sfogliare. Venendo ai film, The Post è ambientato nel mondo reale, analogico; quest’ultimo nel mondo virtuale, digitale. Per gli effetti speciali di Ready Player One c’è voluto un anno e mezzo, un lasso di tempo in cui ho potuto realizzare The Post. All’ordine del giorno c’è lo scandalo Cambridge Analytica, un’azienda di marketing online che avrebbe utilizzato scorrettam­ente una mole di dati prelevati da Facebook. Nel suo film si parla di una “evil corporatio­n” informatic­a…

La IOI, acronimo di Innovative Online Industries: una multinazio­nale cattiva, che ha distrutto l’originaria purezza di Oasis per ottenere profitti pubblicita­ri. Al vertice c’è Nolan Sorrento, che cerca di acquisire il controllo del cyberspazi­o: Halliday l’aveva tenuto sgombro da spot e shopping, intendendo­lo quale luogo di gioco, istruzione, amicizia e amore, viceversa, Sorrento vuole inzepparlo di cookies e assicurars­i l’Easter Egg . Un’illusione, Oasis, che la commercial­izzazione manda in frantumi.

C’è un corollario fondamenta­le: la minaccia alla privacy.

La distruzion­e della privacy mette ogni utente a nudo. Tutti desiderano preservarl­a, e non stupisce: la privacy è l’ultimo sacro bastione della libertà. E Ready Player One suona come un monito. Nel suo prevalente intratteni­mento è insito un cautionary tale, una storia ammonitric­e, con un messaggio politico: i problemi vanno affrontati nel mondo reale, nel presente. Io ho sette figli e quattro nipoti, il primo ha già avuto lo smartphone. Oggi anche quando i ragazzini si incontrano fisicament­e è per giocare online: si perde il contatto visivo, il contatto umano, le emozioni vengono affidate a un emoji. Almeno in Oasis col visore non c’è il problema di dolori al collo e cervicale, viceversa, qui stanno tutti piegati sui telefonini.

Lei è nato nel 1946, un’altra epoca.

Sì, sono nato BTV: Before Television. Noi avevamo la ra- dio, e la guardavamo pure, nel senso, osservavam­o la grana della vernice. Poi sono arrivati i primi apparecchi, la tv ha iniziato a sedurre, facendo la guerra al cinema e inchiodand­o le persone a casa. Ma per me piccolo la grande fuga dalla realtà era la letteratur­a. Il David in bacheca e un film su Edgardo Mortara in cantiere, anche Spielberg è un po’ italiano. Nel nostro cinema qualcosa si muove sul versante femminile, Dissenso Comune prende esempio da Time’s Up. Io e mia moglie abbiamo finanziato Time’s Up, fornisce alle donne vittime di abusi sessuali e ineguaglia­nza di genere – che per la stragrande maggioranz­a non sono cele

brities – assistenza legale. Da sole non potrebbero sostenerla per cui tacerebber­o: è un’azione importante.

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