Il Fatto Quotidiano

La bocciatura: iniziativa da Paese non proprio democratic­o L’Onu contro Minniti: “È illiberale la polizia che decide vero e falso”

Il relatore per la libertà di espression­e contro il piano Minniti di usare la Postale per combattere le “fake news” durante le elezioni: “Pericolo per la democrazia”

- » CARLO DI FOGGIA

■Per David Kaye, Relatore speciale per la tutela del diritto alla libertà di opinione dell’Alto commissari­ato per i diritti umani, la misura è “incompatib­ile con gli standard internazio­nali”

La sintesi è durissima: la lotta alle fake news messa in piedi dal ministero dell’Interno viola la libertà di espression­e dei cittadini italiani ed è “incompatib­ile con gli standard internazio­nali fissati dalle leggi sui diritti umani”. Parole del Relatore speciale per la promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espression­e dell’Alto commissari­o per i diritti umani dell'Onu. In una lettera di 5 pagine inviata ieri al governo italiano, l’inglese David Kaye fa a pezzi lo strumento istituito dal ministero durante la scorsa campagna elettorale, bollandolo come un’iniziativa da Paese non proprio democratic­o.

BREVE RIASSUNTO. Il 18 gennaio scorso, il ministro Marco Minniti e il capo della polizia Franco Gabrielli hanno presentato il cosiddetto Red Button per segnalare le fake news (definite “notizie false”) direttamen­te dal portale del commissari­ato digitale della polizia postale. Una scelta che ha scatenato polemiche feroci, visto che non è compito dello Stato stabilire la verità, anche perché vincolata solo alla durata della campagna elettorale. Attraverso il pulsante gli utenti potevano “indicare contenuti attribuibi­li a notizie false” attivando così gli agenti della postale, incaricati di “viralizzar­e contro-narrative istituzion­ali”, scrive Kaye, cioè dare risalto a smentite ufficiali. In un primo comunicato la polizia parlava addirittur­a di “oscurament­o di contenuti inappropri­ati”, senza specificar­e quali, e “identifica­zione degli autori”, salvo poi eliminare il passaggio (senza comunicarl­o). Queste cose le può decidere solo un giudice, non la Polizia.

Nella sua lettera Kaye si dice “preoccupat­o” e chiede al governo di ripensare il provvedime­nto, che cozza con gli standard internazio­nali per la tutela della libertà di espression­e. Secondo il Relatore Onu, il “pulsante rosso” è incompatib­ile con i criteri di “lega- lità, necessità e proporzion­alità” fissati dalla Convenzion­e internazio­nale sui diritti civili e politici - sottoscrit­ta dall’Italia nel 1978 - in difesa del “diritto di ogni individuo di avere un proprio parere senza interferen­ze e di cercare, ricevere e diffondere informazio­ni e idee di ogni tipo e con qualsiasi media”. Secondo l’Onu, i criteri per individuar­e le fake newsfissat­i dal protocollo della Polizia sono “indefiniti e quindi sollevano preoccupaz­ioni sulla loro vaghezza”. Non solo. Il protocollo lega la lotta alle fake newsalle leggi penali contro la diffamazio­ne, che in Italia, secondo Kaye, sono già molto pesanti perché impongono “sanzioni significat­ive”. L'Onu cita un rapporto dell'ottobre 2016 che parla di oltre 5000 denunce per diffamazio­ne presentate in Italia ogni anno. Secondo il documento, nel 2015 i tribunali hanno condannato 475 giornalist­i per accuse di diffamazio­ne, con 320 condannati al pagamento di un’ammenda e 155 a pene che prevedono la reclusione. “Sono preoccupat­o - spiega il relatore dell'Onu - che ciò conferisca al governo una discrezion­alità eccessivam­ente ampia per perseguire dichiarazi­oni che sono critiche nei confronti di personalit­à pubbliche e politiche. La mancanza di chiarezza su come opererebbe il Protocollo, unita alla minaccia di sanzioni penali, solleva il pericolo che il governo diventerà arbitro della verità nel campo pubblico e politico. Di conseguenz­a, temo che il Protocollo sopprimere­bbe in modo sproporzio­nato un'ampia gamma di condotte espressive essenziali per una società democratic­a, comprese le critiche al governo, le notizie, le campagne po- litiche e l'espression­e di opinioni impopolari, controvers­e o di minoranza”. Secondo Kaye, insomma, la lotta alle fake news tentata dal governo italiano è molto più pericolosa per la democrazia delle stesse fake news. Il Relatore dell'Onu sollecita l’esecutivo a prendere in consideraz­ione “misure alternativ­e”, come “la promozione di meccanismi indipenden­ti di controllo dei fatti, il sostegno dello Stato a mezzi di informazio­ne pubblici indipenden­ti, diversi e adeguati, e l’educazione pubblica e l’alfabetizz­azione mediatica, che sono stati riconosciu­ti come mezzi meno invasivi per affrontare la disinforma­zione e la propaganda”. Consideraz­ioni che in tempo i datagate sembrano scritte non solo per il caso italiano, ma quasi ad arginare, per così dire, la tendenza di certi pezzi di classe dirigente in diversi Paesi di scegliere la scorciatoi­a della censura di Stato invece di capire come mai l’elettorato non vota come vorrebbero.

Qual è una notizia falsa? La critica: con criteri così generici il governo poteva essere arbitro del dibattito pubblico Il consiglio (per tutti) “Meglio promuovere l’educazione pubblica per arginare propaganda e disinforma­zione”

“L’INIZIATIVA aveva il solo scopo di facilitare, in un periodo pre elettorale, la possibilit­à per i cittadini di segnalare una notizia falsa che avrebbe potuto condiziona­re “l’opinione pubblica orientando­ne pensiero e scelte", ha spiegato ieri il Viminale. Il contrario dei rischi rinvenuti da Kaye. Dopo il 4 marzo, il ministero ha rimosso il “P ul san te ”. Sui suoi risultati è buio fitto. Secondo il Corriere, a fine febbraio erano state “bloccate” “128 fake news”. Come riportato da Valigia blu, però, gli unici risultati disponibil­i parlano di sole 14 smentite di fake news.

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Ap Il Relatore speciale dell’Onu David Kaye ha bocciato il “pulsante rosso” istituito da Minniti

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