CASSAZIONE, IL PREMIO PER L’ONOREVOLE PD
Il Csm, giovedì scorso, ha deliberato di destinare alla Suprema Corte di Cassazione Donatella Ferranti, la magistrata in aspettativa per mandato parlamentare, non ricandidata dal Partito democratico alle scorse elezioni politiche. Si è, così, verificato quello che aveva preannunziato il settimanale l’Espressoche il 23 maggio 2016 aveva scritto “della ambizione della Ferranti di finire in Cassazione” quando fosse ritornata in magistratura.
Il Fatto Quotidiano, in più di un articolo, aveva, tenuto conto anche dello stato attuale della normativa, definita “paradossale” la possibilità per il magistrato, che rientri nell’ordine giudiziario dopo aver per anni svolto attività politico-parlamentare, di poter essere destinato alla Corte Suprema di Cassazione – che ha giurisdizione su tutto il territorio nazionale – sembrando inconcepibile che un magistrato il quale, da anni, non ha più scritto una sentenza, tenuta un’udienza, partecipato ad una camera di consiglio, potesse essere assegnato a quel massimo organo giurisdizionale che “forgia” i principi che regolano il diritto e che devono, poi, essere applicati nei casi concreti dai giudici di merito. Non a caso, l’art. 50 Dl. gs. n° 160/ 2006 prevede che il magistrato – cessato l’esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria – possa essere ricol- locato in ruolo con assegnazione alla Corte di Cassazione sempre che, prima di assumere la funzione elettiva, fosse in servizio presso la Corte di Cassazione (o alla Procura generale della Corte ovvero alla Dna). Analoga previsione è contenuta nella circolare del Csm del 24 luglio 2014 secondo cui “i magistrati provenienti da uffici a giurisdizione nazionale sono restituiti al posto di appartenenza”, previsione ribadita nella delibera 21.10.2015.
NONOSTANTE CIÒ, il Csm ha destinato alla Corte di Cassazione la Ferranti la quale: a) è stata per 10 anni deputata del Pd (2008/2018), con una forte caratterizzazione politica desumibile dall’es se re stata presentata capolista a Roma nel collegio Lazio 2 nelle elezioni del 2013; b) è stata , per circa nove anni, nelle stanze del Csm, prima come magistrato-segretario, poi come vicesegretario generale e, infine, dal 2004 potente segretario generale, con una forte caratterizzazione in termini di appartenenza alla corrente associativa di Magistratura Democratica; c) non ha mai fatto, per venti anni, una sentenza, né tenuto udienze o camere di consiglio e, soprattutto, non ha mai svolto, nel corso della sua carriera, quelle “funzioni di legittimità” che le avrebbero consentito il ricollocamento in ruolo in Cassazione; ed è grave che la nomina a magistrato di Cassazione – (che riguarda il grado e la qualifica ed è presupposto per ottenere e svolgere le funzioni di legittimità, e necessaria alla Ferranti per ricoprire il posto di segretario generale) – sia stata equiparata all’effettivo esercizio delle funzioni di legittimità.
LA NOMINA della Ferranti, approvata con il solo voto contrario del componente Morgigni, (e due astensioni), ha determinato un durissimo documento della corrente di “Autonomia e indipendenza” che ha denunciato essere la nomina “contraria alla legge e alle circolari del Csm” e tale da “legittimare chi abbia svolto rilevanti ruoli politici elettivi ad accedere senza concorso al supremo organo di giuri- sdizione in Italia”. Ma tale denuncia non sortirà effetto alcuno: il capo dello Stato, presidente del Csm, rimarrà silente, la Ferranti andrà tranquillamente in Cassazione ove, a breve, potrà diventare prestigiosa presidente di sezione, i componenti del Csm non saranno chiamati a rispondere ad alcuna autorità per avere adottato nell’esercizio delle funzioni un provvedimento “contrario alla legge e alle circolari”.
E ALLORA, la ineludibile radicale riforma del Csm – di un organo affetto da cronica degenerazione correntizia e partitica – passa, anche e soprattutto, attraverso l’abolizione della immunità concessa ai suoi membri con legge n° 1.1981 secondo cui essi “non sono punibili per le opinioni espresse ne ll’esercizio delle funzioni, e concernenti l’oggetto della discussione”.
Tale esimente, o scriminante, seppure concessa con legge ordinaria e non costituzionale, ha finito – soprattutto a seguito di una improvvida sentenza delle SS. UU. civili della Cassazione del 2002 (n. 3527) – per riguardare ogni tipo di responsabilità, non solo penale, ma anche civile, amministrativa, disciplinare; finisce, cioè, per consegnare al Csm una aperta qualificazione di totale irresponsabilità che appare, in concreto, di spessore ben più incisivo delle stesse “immunità” costituzionali: basta che il provvedimento del Csm sia adottato a seguito di una votazione per assegnare agli autori la franchigia auto-immunitaria. Il che in uno Stato di diritto è francamente intollerabile.