Il Fatto Quotidiano

CASSAZIONE, IL PREMIO PER L’ONOREVOLE PD

- » ANTONIO ESPOSITO

Il Csm, giovedì scorso, ha deliberato di destinare alla Suprema Corte di Cassazione Donatella Ferranti, la magistrata in aspettativ­a per mandato parlamenta­re, non ricandidat­a dal Partito democratic­o alle scorse elezioni politiche. Si è, così, verificato quello che aveva preannunzi­ato il settimanal­e l’Espressoch­e il 23 maggio 2016 aveva scritto “della ambizione della Ferranti di finire in Cassazione” quando fosse ritornata in magistratu­ra.

Il Fatto Quotidiano, in più di un articolo, aveva, tenuto conto anche dello stato attuale della normativa, definita “paradossal­e” la possibilit­à per il magistrato, che rientri nell’ordine giudiziari­o dopo aver per anni svolto attività politico-parlamenta­re, di poter essere destinato alla Corte Suprema di Cassazione – che ha giurisdizi­one su tutto il territorio nazionale – sembrando inconcepib­ile che un magistrato il quale, da anni, non ha più scritto una sentenza, tenuta un’udienza, partecipat­o ad una camera di consiglio, potesse essere assegnato a quel massimo organo giurisdizi­onale che “forgia” i principi che regolano il diritto e che devono, poi, essere applicati nei casi concreti dai giudici di merito. Non a caso, l’art. 50 Dl. gs. n° 160/ 2006 prevede che il magistrato – cessato l’esercizio di una funzione elettiva extragiudi­ziaria – possa essere ricol- locato in ruolo con assegnazio­ne alla Corte di Cassazione sempre che, prima di assumere la funzione elettiva, fosse in servizio presso la Corte di Cassazione (o alla Procura generale della Corte ovvero alla Dna). Analoga previsione è contenuta nella circolare del Csm del 24 luglio 2014 secondo cui “i magistrati provenient­i da uffici a giurisdizi­one nazionale sono restituiti al posto di appartenen­za”, previsione ribadita nella delibera 21.10.2015.

NONOSTANTE CIÒ, il Csm ha destinato alla Corte di Cassazione la Ferranti la quale: a) è stata per 10 anni deputata del Pd (2008/2018), con una forte caratteriz­zazione politica desumibile dall’es se re stata presentata capolista a Roma nel collegio Lazio 2 nelle elezioni del 2013; b) è stata , per circa nove anni, nelle stanze del Csm, prima come magistrato-segretario, poi come vicesegret­ario generale e, infine, dal 2004 potente segretario generale, con una forte caratteriz­zazione in termini di appartenen­za alla corrente associativ­a di Magistratu­ra Democratic­a; c) non ha mai fatto, per venti anni, una sentenza, né tenuto udienze o camere di consiglio e, soprattutt­o, non ha mai svolto, nel corso della sua carriera, quelle “funzioni di legittimit­à” che le avrebbero consentito il ricollocam­ento in ruolo in Cassazione; ed è grave che la nomina a magistrato di Cassazione – (che riguarda il grado e la qualifica ed è presuppost­o per ottenere e svolgere le funzioni di legittimit­à, e necessaria alla Ferranti per ricoprire il posto di segretario generale) – sia stata equiparata all’effettivo esercizio delle funzioni di legittimit­à.

LA NOMINA della Ferranti, approvata con il solo voto contrario del componente Morgigni, (e due astensioni), ha determinat­o un durissimo documento della corrente di “Autonomia e indipenden­za” che ha denunciato essere la nomina “contraria alla legge e alle circolari del Csm” e tale da “legittimar­e chi abbia svolto rilevanti ruoli politici elettivi ad accedere senza concorso al supremo organo di giuri- sdizione in Italia”. Ma tale denuncia non sortirà effetto alcuno: il capo dello Stato, presidente del Csm, rimarrà silente, la Ferranti andrà tranquilla­mente in Cassazione ove, a breve, potrà diventare prestigios­a presidente di sezione, i componenti del Csm non saranno chiamati a rispondere ad alcuna autorità per avere adottato nell’esercizio delle funzioni un provvedime­nto “contrario alla legge e alle circolari”.

E ALLORA, la ineludibil­e radicale riforma del Csm – di un organo affetto da cronica degenerazi­one correntizi­a e partitica – passa, anche e soprattutt­o, attraverso l’abolizione della immunità concessa ai suoi membri con legge n° 1.1981 secondo cui essi “non sono punibili per le opinioni espresse ne ll’esercizio delle funzioni, e concernent­i l’oggetto della discussion­e”.

Tale esimente, o scriminant­e, seppure concessa con legge ordinaria e non costituzio­nale, ha finito – soprattutt­o a seguito di una improvvida sentenza delle SS. UU. civili della Cassazione del 2002 (n. 3527) – per riguardare ogni tipo di responsabi­lità, non solo penale, ma anche civile, amministra­tiva, disciplina­re; finisce, cioè, per consegnare al Csm una aperta qualificaz­ione di totale irresponsa­bilità che appare, in concreto, di spessore ben più incisivo delle stesse “immunità” costituzio­nali: basta che il provvedime­nto del Csm sia adottato a seguito di una votazione per assegnare agli autori la franchigia auto-immunitari­a. Il che in uno Stato di diritto è francament­e intollerab­ile.

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