Catania clan e urne Voto di scambio e “carusi” in attesa del posto da pusher
PIOVRE DOVE LA “TRATTATIVA” NON SERVE
In fila al centro per l’impiego della cosca per iniziare la “carriera” a 13 anni. Succede nell’altra Sicilia, quella della mafia meno raccontata, della politica più compromessa, delle zone grigie che dominano un panorama con poche zone nere e ancor meno bianche. Perché qui niente è come sembra, il voto clientelare è ancora prassi, i “favori” sono la sopravvivenza. Palermo e “l’aristocrazia di Cosa nostra” di Stefano Fidanzati sono lontane, in uno sce- nario “liquido” il clan dominante oggi magari non lo sarà domani. I tentacoli della Piovra fino al 2010 hanno combattuto una guerra intestina, morti ammazzati tanti, ma adesso non si spara e i rapporti di forza sono più o meno consolidati: vige una pax mafiosa. La droga, che arriva via ’ndrangheta e Calabria soprattutto, racket e usura (70 milioni l’anno i proventi dei boss etnei e pochissime le denunce), sono le attività principali dell’economia per la città un tempo definita “Milano del Sud”.
Spaccio rione per rione e la mappa delle cosche
Catania è divisa in otto quartieri, per ogni quadrivio ci sono quattro o cinque piazze di spaccio. Vedette, pusher e manovalanza criminale sono ruoli e lavori ambiti, fin dai 13 anni. L’età di Antonio: “Qui non c’è lavoro, bisogna aiutare in casa, sto aspettando il mio turno, per la scuola c’è tempo e comunque i libri non ci danno da mangiare”. Racconta il ragazzo, capelli ordinati, sguardo vispo e Nike nuove ai piedi, aspettando da giorni un cenno dall’uomo seduto in una Bmw nera parcheggiata a qualche metro, in fondo alla strada. Il “suo turno” significa che Antonio è in fila, infatti, come ai vecchi uffici di collocamento, in attesa che dalla “piazza” del suo rione si liberi magari un posto da vedetta. Grazie alla progressione di carriera di un altro caruso , ad esempio, che può significare anche l’ingresso in una cella di qualche carcere.
Una “piazza” dà lavoro ad almeno sei carusi per turno; e vale ai clan, incasso a fine nottata, 15 mila euro al gior- no per l’hashish e oltre 20 mila per la cocaina (sono 20 i chilogrammi venduti in media alla settimana). Posti di lavoro ambiti, quindi. Il tutto gestito da un gotha mafioso frammentato e indecifrabile: sono solo due le storiche famiglie affiliate a Cosa nostra (Santapaola e Mazzei), tutti gli altri – gruppi feroci e imprevedibili – non hanno mai messo piede all’interno della Cupola, ma pur senza “uomini d’onore” punciuti, a Catania hanno piena cittadinanza criminale.
Percorriamo la città per piazze di spaccio, per provare a ricostruire una mappa delle “famiglie”, seppur indicativa e suscettibile ai repentini cambiamenti di una realtà parcellizzata. Picanello, borgo marinaro Ognina: Santapaola- Ercolano e Laudani; Librino, la zona dell’aeroporto: Nizza (Santapaola) e Arena; San Cristoforo: Cappello- Carateddi; corso Indipendenza: Cappello e Cursoti catanesi; San Berillo Nuovo: Cappello e Cursoti milanesi; zona stazione: Pillera- Di Mauro; paesi pedemontani: Santapaola e Laudani. Le “piazze” sono divise, spartite, addirittura i clan si sostituiscono al cambio del “turno”. Ma all’elenco bisogna aggiungere un ’ altra famiglia, presente quasi in ogni luogo, i Mazzei: incutono timore più di tutti gli altri adesso, anche a Palermo.
È qui quel che resta dei Corleonesi
Affiliati a Cosa nostra, i Mazzei sono gli ultimi rappresentanti sull’isola – sconfitti dallo Stato i Corleonesi – ad aver aderito all’ala stragista di Riina; mentre Nitto Santa- paola, al 41-bis dal 1993, “regnava” su Catania, sempre in accordo con i viddan i, ma sposando e anzi anticipando, fin dagli anni Settanta, la strategia della sommersione di Bernardo Provenzano. E nel dna della città l’opacità di questo modus vivendiè rimasta. Niente attacchi allo Stato, niente omicidi eccellenti con le sole eccezioni, che confermano la regola, del giornalista Pippo Fava, ammazzato il 5 gennaio 1984, e dell’ispettore Giovanni Lizzio, ucciso il 27 luglio 1992. Perché alla mafia di Catania non è mai servita e non serve nessuna Trattativa, la compromissione è strisciante.
Raggiungiamo a Caltanissetta un uomo di Stato, il sostituto procuratore Pasquale Pacifico, minacciato di morte dal clan Cappello; ci spiega: “Che la politica e i suoi rappresentanti a Catania siano conniventi con i mafiosi non è un parere o una sensazione, ma una certezza. I modi di fare affari ci sono e oggi non serve nep- pure esporsi troppo. Purtroppo a Catania il livello della tensione morale, anche della società civile, è vicino allo zero”. Infatti gli arresti, scattati una settimana fa, di quattro funzionari e dirigenti del Settore ecologia del Comune di Catania per un maxi-appalto sui rifiuti da 350 milioni di euro, sono soltanto un piccolo esempio di quanto si muove, lentamente, come la lava del vulcano, sotto l’Etna.
La fine dell’era Bianco e la Primavera tradita
E il 10 giugno si torna a votare. L’era di Enzo Bianco, il sindaco della primavera incompiuta e tradita (dopo un breve mandato di un anno e quattro mesi tra 1988 e ’89 è stato sindaco dal 1993 al 2000 prima di ritornare nel 2013 a Palazzo degli Elefanti) questa volta sembra davvero al tramonto. Nonostante l’annunciata ricandidatura voluta al Nazareno dal Pd in disarmo, i successi elettorali del centrodestra, alle Regionali del novembre scorso, e del Movimento 5 Stelle, alle ultime Politiche, restringono lo spazio per un recupero del sindaco uscente, dato già per sconfitto dagli osservatori. Tutti scommettono su Salvo Pogliese, candidato di Forza Italia, il cui faccione sorridente saluta gli etnei dalle gigantografie a o-
gni angolo della città e promette “una scelta d’am or e per Catania”. Il Movimento 5 Stelle, in una votazione del locale m e et - u p, ha scelto Giovanni Grasso, docente di Teoria e tecnica dell’interpretazione scenica all’Isti- tuto musicale Vincenzo Bellini. Nonostante la valanga di voti delle Politiche pare una candidatura troppo debole, almeno sulla carta. Potere al popolo tirerà fuori dal cilindro un volto di sinistra il 28 marzo, mentre oltre la de- stra ufficiale e favorita c’è un consigliere comunale uscente, Riccardo Pellegrino, che risponde all’“amore” di Pogliese con la lista “Catania nel cuore”. O nel Caf, verrebbe da dire. Perché cade subito all’occhio, percorrendo strade e viuzze del centro come della periferia, che a Catania c’è un numero spropositato di Caf (centri per l’assistenza fiscale), un centinaio sparsi per tutta la città. E almeno sei di questi sono riconducibili proprio a Pellegrino, politico che rivendica l’amicizia con Carmelo Mazzei, incensurato, ma figlio del superboss Nuccio, ’u Carcagnusu al 41-bis da tre anni (mentre il nonno Santo è in carcere dal ’92), considerato ancora il capo famiglia e, soprattutto, il rappresentante a Catania di Leoluca Bagarella, il vice- Riina al 41bis dal 1995.
La borsa della spesa e poi la “x” sulla scheda
Un’amicizia, quella tra Pellegrino e Carmelo Mazzei, che insomma non imbarazza poi molto; tra i pochi a chiederne conto c’è stato, inascoltato, Claudio Fava, candidato sconfitto alla presidenza della Regione Siciliana contro il vittorioso Nello Musumeci. Pellegrino fa spallucce e il suo amico Carmelo non è mai finito nei guai per gli affari del clan, dall’arresto di Nuccio Mazzei governato strada per strada dai “colonnelli” Domenico Coglitore e Franco Raciti.
Ritorniamo ai Caf: tutti i “signori” della politica catanese ne hanno qualcuno a disposizione. “In campagna elettorale – racconta un investigatore – diventano luoghi per il voto di scambio. Si va là e si prende la ‘ borsa della spesa’, che significa varie cose, dal pagamento delle bollette al pane assicurato per qualche settimana. Basta poco per un voto”.
COCAINA Dalla Calabria ne arrivano 20 chili a settimana: una “piazza” vale 20 mila euro in media al giorno. Usura e racket fruttano 70 milioni l’anno