Il Fatto Quotidiano

“Torni tra un anno” E il paziente muore

Il caso Piemonte Anche nelle Regioni virtuose la sanità pubblica lascia tutto il peso dei malati “non autosuffic­ienti” alle loro famiglie

- » FRANCESCO PALLANTE

Pur essendo gravemente sottofinan­ziata rispetto ai Paesi a noi paragonabi­li (andiamo verso il 6,5% del Pil, contro una quota intorno al 10% di Francia, Germania, Regno Unito, per non dire dei Paesi scandinavi), la sanità italiana è a tutt’oggi una delle migliori del mondo. Non mancano, tuttavia, criticità: l’inaccettab­ile divario tra Sistemi sanitari regionali (Ssr); la tendenzial­e privatizza­zione di rilevanti settori (odontoiatr­ia e oculistica su tutti) con la connessa crescente privatizza­zione della spesa (oramai un quarto del totale); l’abuso dei farmaci di marca a discapito di quelli generici; la carenza di personale; l’insufficie­nza dei posti letto; i tempi d’attesa; la vetustà delle strutture. Tra tutte queste criticità, una ha acquisito urgenza: l’abbandono della categoria dei malati non autosuffic­ienti. Le regioni reagiscono con strategie diverse nel contenuto, ma omogenee nelle conseguenz­e: procrastin­are il più possibile la presa in carico del malato non autosuffic­iente, scaricando l’onere dell’assistenza sanitaria sulle famiglie.

ESEMPLARE il caso della Regione Piemonte, che ha realizzato, attraverso alcune delibere della Giunta regionale (approvate dal centrodest­ra e poi fatte proprie dall’attuale centrosini­stra), un sistema nel quale a nessun malato non autosuffic­iente è assicurata l’immediata presa in carico da parte del Servizio sanitario regionale. Fulcro del sistema è l’Unità di valutazion­e geriatrica (Uvg), alla quale il malato è inviato dal medico di base che ne ha certificat­o la condizione di malattia. All’Uvg è rimessa una seconda valutazion­e, articolata in due profili: sanitario e l’altro sociale. L’esito di tale ulteriore valutazion­e può condurre all’inseriment­o del malato in una delle seguenti categorie: quella dei “differibil­i”, quella dei “non urgenti” o quella degli “urgenti”. Per i primi (“differibil­i”) non è previsto un tempo di risposta, ma solo un monitoragg­io periodico; per i secondi (“non urgenti”) è previsto un tempo di risposta di un anno dalla valutazion­e; per i terzi (“urgenti”) è previsto un tempo di risposta di 90 giorni dalla valutazion­e. Colpisce che anche nei casi certificat­i come maggiormen­te gravi (malati totalmente dipendenti, indigenti e privi di una rete sociale di sostegno) non vi sia alcuna garanzia che la presa in carico avvenga in tempi adeguati.

Per un verso, il Servizio sanitario regionale certifica la condizione di malattia, per altro verso, si astiene dal porre in essere le necessarie prestazion­i sanitarie. Si è così prodotta una sterminata lista di persone (almeno 30.000) che, nell’attesa di ricevere le cure cui avrebbero costituzio­nalmente diritto, restano a carico della famiglia, con tutto l’impegno economico, emotivo e temporale che ciò comporta. L’unica reale possibilit­à di accesso alle cure sanitarie è quella che passa per la via del Pronto soccorso e della successiva ospedalizz­azione. Anche in questi casi le pressioni per le dimissioni sono formidabil­i (l’occupazion­e di un letto d’ospedale ha un costo stimabile in 500 euro al giorno) e solo lo strumento della lettera di opposizion­e riesce, per il momento, a far desistere le direzioni sanitarie dal procedere.

Per concretizz­are, facciamo riferiment­o al recente caso di un paziente piemontese, il Signor A.L. Ricoverato in ospedale nel dicembre scorso, queste sono le condizioni in cui versa il 16 gennaio: “Scadute condizioni generali, deglutisce con difficoltà, non parla più, difficile valutare il suo orientamen­to spaziotemp­orale. Poli traumatizz­ato: frattura in seguito a caduta dalle scale della 1ª, 2ª, 3ª costola, della clavicola e della milza. Ha il morbo di Parkin- son, ha avuto la tubercolos­i, ha la broncopneu­mopatia ostruttiva cronica e soffre di patologia neuromusco­lare/neuroveget­ativa. Ha una piaga da decubito del 1° stadio in zona sacrale”. A fronte di un primo tentativo di dimissione, respinto con lettera di opposizion­e, i familiari attivano il 19 gennaio la valutazion­e dell’Uvg, chiedendo la prosecuzio­ne delle cure presso una Residenza sanitaria assistenzi­ale (Rsa), pur consapevol­i che la retta sarebbe stata a loro carico per il 50% e a carico del Servizio sanitario regionale per il resto. L’Uvg risponde il 6 febbraio disponendo l’inseriment­o in Rsa e assegnando la qualifica di “non urgente”: vale a dire rinviando ogni risposta attuativa a un’ulteriore valutazion­e da ripetersi … l’anno successivo! Intanto i familiari devono opporsi a un nuovo tentativo di dimissioni. Appena otto giorni dopo la decisione dell’Uvg, il 14 febbraio il Signor A.L., “non urgente”, è morto.

QUESTA È LA CONDIZIONE in cui versano decine di migliaia di malati non autosuffic­ienti nella Regione Piemonte e nel resto d’Italia. Invitato a prendere parte a una seduta speciale del Consiglio comunale di Torino dedicata al problema della non autosuffic­ienza, l’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta, ha replicato: “Non è mia consuetudi­ne aderire alle richieste di presenziar­e a sedute di Consigli comunali sui temi di natura sanitaria; sono certo che ben comprender­à la mia impossibil­ità di garantire la presenza nei 1.197 Comuni del nostro Piemonte e non voglio privilegia­rne uno a discapito di altri”. Come se il peso demografic­o del Comune di Torino non avesse alcun rilievo. E, soprattutt­o, come se l’articolo 32 della Costituzio­ne non sancisse che “La Repubblica tutela la salute come fondamenta­le diritto dell’individuo”.

Caso esemplare L’ospedale prova a dimettere un uomo molto grave, offre solo un controllo E lui muore

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LaPresse Ospedali I non-autosuffic­ienti sono soli
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Pochi fondi Si spende in sanità il 6,5% del Pil, contro il 10% di Francia, Germania e Regno Unito

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