Il Fatto Quotidiano

Quando la sinistra trovò le Br dentro l’album di famiglia

- » MIGUEL GOTOR

Il 28 marzo 1978 Rossana Rossanda pubblicò su il manifesto un articolo in cui analizzava il linguaggio usato dai brigatisti nei loro due precedenti comunicati e affermava che le sembrava“di sfogliare l’ album di famiglia ”:“Chiunque sia stato comunista negli anni 50 riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Brigate rosse. Ci sono tutti gli ingredient­i che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria”.

In un secondo articolo sullo stesso giornale, che sin dal titolo riproponev­a l’immagine dell’album di famiglia, sempre la Rossanda si chiedeva con malizioso stupore: “Il Pci si è sentito offeso, chissà perché. I suoi nemici sono stati felici, chissà perché”. La fondatrice de il manifestos­i riferiva a un intervento del dirigente del Pci Emanuele Macaluso, il quale si era chiesto quale mai fosse “l’album” conservato dalla Rossanda, certamente, a suo dire, privo della foto di Palmiro Togliatti. Inoltre, Macaluso aveva fatto notare che della stessa opinione della Rossanda erano “quei fogli conservato­ri come

il Giornale di Montanelli che si è affrettato a pubblicare questa sua‘ testimonia­nza ’, ma anche alcuni esponenti della Dc e redattori de il Po

polo ”, per non parlare della campagna di stampa sullo “stalinismo” in cui si distinguev­a anche Lotta Continua così da realizzare una convergenz­a “degli anticomuni­sti di destra e di sinistra veramente impression­ante”.

In effetti, negli anni successivi, l’espression­e “album di famiglia” sarebbe diventata quasi proverbial­e, conseguend­o un vasto, trasversal­e e duraturo successo presso l’opinione pubblica italiana che cominciò a utilizzarl­a per accreditar­e la tesi di una filiazione diretta delle Brigate rosse dal Pci. Una “famiglia” da cui la Rossanda era stata radiata nove anni prima, al termine di una conflittua­lità interna che aveva lasciato una reciproca scia di incomprens­ioni e di risentimen­ti.

In realtà, se si eccettua Prospero Gallinari, da ragazzo militante nei giovani comunisti di Reggio Emilia e allontanat­o “da sinistra” dal partito in quanto tardivo epigone della tradizione “secchiana”, ostile a Togliatti prima e a Berlinguer poi, la stragrande maggioranz­a dei componenti brigatisti protagonis­ti dell’operazione Moro provenivan­o da diversi filoni e percorsi politici. A partire dal loro capo, Mario Moretti, che alla fine degli anni Sessanta aveva frequentat­o gli ambienti cattolici di “Gioventù studentesc­a” e si era iscritto all’Università del Sacro cuore di Milano.

LA STRAGRANDE maggioranz­a degli altri (Rita Algranati, Barbara Balzarani, Anna Laura Braghetti, Alessio Casimirri, Adriana Faranda, Alvaro Lojacono, Germano Maccari, Gabriella Mariani, Antonio Marini, Valero Morucci, Bruno Seghetti, Teodoro Spadaccini, Enrico Triaca) aveva militato in Potere operaio e, dopo il suo scioglimen­to, aveva intrapreso la strada della lotta armata all’interno di una serie di sigle, comitati e collettivi ( Fac, Co.co.ce, Tiburtaros, Vi

va il comunismo) poi confluite nella colonna romana delle Br. Come è noto Potere operaioera sorto sul finire degli anni Sessanta in radicale conflittua­lità con il Pci e, sin dalle origini, aveva avversato la cultura stalinista e il modello sovietico, cui aveva preferito il marxismo critico dell’autonomia operaia e della “nuova sinistra” radicale statuniten­se e suggestion­i guerriglie­re di derivazion­e guevarista e terzomondi­sta.

Di conseguenz­a, non sorprende affatto che se entriamo, grazie a un verbale di per- quisizione dei carabinier­i, in un covo brigatista nel 1978, ad esempio quello milanese di via Monte Nevoso, riaffiori dalla polvere una piccola biblioteca che non può essere ricondotta all’armamentar­io tipico del lettore iscritto al Pci negli anni di zdanoviana memoria come la Rossanda riusciva a far credere tra il compiacime­nto dei suoi avversari.

Vi troviamo, infatti, La resi

stenza eritrea di Piero Gamacchio, Prateria in fiamme, ossia il programma politico dei “Weather Undergroun­d” il movimento di ispirazion­e marxista statuniten­se; la Lotta

armata in Iran di Bizhan Jazani, teorico socialista iraniano morto nel 1975; Tupamors: li

bertà o morte di Oscar Josi Dueñas Ruiz e Mirna Rugnon de Dueñas oppure La rivolu

zione in Italia di Carlo Pisacane, eroe risorgimen­tale riscoperto nel corso della Resistenza da Giaime Pintor. E ancora: l’edizione einaudiana del Dia

loghi di profughidi Bertolt Brecht a cura di Cesare Cases e il classico del femminismo Vas

silissa della rivoluzion­aria Aleksandra Kollontaj, allontanat­a dall’Urss da Stalin. In camera, in un comodino di fianco al letto, La lotta di classe in Urss con annotazion­i del marxista critico Charles Bettelheim, le Opere scelte di Mao Tse-tung e il feltrinell­iano Il sangue dei leoni che pubblicava un lungo discorso del leader congolese Edouard Marcel Sumbu. Come si vede si tratta di un pacchetto di libri che costituiva le letture tipiche della nuova sinistra extraparla­mentare di quel decennio, con influenze anticapita­listiche, trotskiste, maoiste, guevariste, terzomondi­ste, genericame­nte rivoluzion­arie e libertarie, di certa ispirazion­e antistalin­ista e antisoviet­ica.

Ciò nonostante la formula “album di famiglia” ebbe un duplice successo propagandi­stico che meriterebb­e di essere approfondi­to nel suo sviluppo e radicament­o nel dibattito nazionale: alla destra del Pci, perché amplificav­a una generale ossessione anticomuni­sta (democratic­a e anti-democratic­a) e permetteva di riattualiz­zare lo stereotipo della doppiezza togliattia­na; alla sinistra di quel partito, in quanto consentiva di rimuovere, o almeno di stemperare in una vaga aria di famiglia, il nodo centrale – che in quelle ore e in quei mesi era anzitutto di carattere giudiziari­o e penale - del rapporto di contiguità culturale e generazion­ale tra il variegato mondo extra-parlamenta­re, la lotta armata e la pratica della violenza politica all’interno della multiforme costellazi­one del “Partito armato”.

Un laccio intricato e scivoloso, strettosi sempre più nel corso degli anni anche grazie a una serie di ambiguità, reticenze, omissioni e qualche indulgente connivenza di troppo. In realtà, Zdanov e il Moloch sovietico degli anni Cinquanta c’entravano assai poco e rischiavan­o di trasformar­si in un comodo alibi purificato­re per non guardare in faccia la realtà, la metastasi cresciuta dentro il corpo estremisti­co e radicale della società italiana.

Anzi, quei percorsi biografici e quei libri sono lì a ricordare che quel manipolo di giovani brigatisti non erano dei marziani scesi sul pianeta terra, ma erano a loro modo, con granitica intransige­nza e allucinata coerenza, dentro la cultura, le letture, le pratiche politiche e valoriali del movimento studentesc­o e operaio italiano dal 1968 in poi, come se le differenti realtà ed esiti dei tanti percorsi esistenzia­li fossero stati però attraversa­ti da uno stesso sistema di vasi comunicant­i.

Questo è il nodo storico che bisogna sciogliere, al di là della nevrosi cerimonial­e degli anniversar­i che ripropone ormai stancament­e i soliti dibattiti, se vogliamo per davvero comprender­e quegli anni: questo è l’album di famiglia che bisognereb­be avere il coraggio e l’umiltà di sfogliare.

( 2/continua)

I brigatisti Erano a loro modo dentro la cultura: le letture, le pratiche politiche e valoriali del movimento studentesc­o e operaio italiano

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Agf Davanti alle sbarre Rossana Rossanda e Toni Negri (dietro le sbarre) al processo “7 aprile”
 ?? Ansa ?? L’ultimo oltraggio Imbrattato nella notte di mercoledì il monumento che ricorda le vittime dell’agguato di via Fani. Sulla stele che ricorda i nomi dei cinque uomini della scorta dello statista uccisi dai terroristi è stata scritta la sigla BR in rosso
Ansa L’ultimo oltraggio Imbrattato nella notte di mercoledì il monumento che ricorda le vittime dell’agguato di via Fani. Sulla stele che ricorda i nomi dei cinque uomini della scorta dello statista uccisi dai terroristi è stata scritta la sigla BR in rosso
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