Mina c’è sempre, un ologramma dalla voce pura
Il nuovo album è già il più venduto su Amazon
“Maeba”: è un acrostico? È un anagramma? O un scherzo? A-be-ma questo è l’ultimo album di Mina, con buona pace dei solutori di enigmi. Dopo Selfie del 2014 e Le migliori con Adriano Celentano del 2016, Maebaesce oggi alla vigilia del compleanno dell’artista, che domenica compirà 78 anni.
Prodotto dal figlio Massimiliano Pani con la Pdu, la casa discografica fondata da Mina 51 anni fa, e distribuito da Sony Music, l’album è disponibile in tre versioni (Cd, Vinile black e Vinile picture) e raccoglie dodici brani – più una ghost trackfinale –, di cui dieci inediti e due cover: Last Chr istm as di George Michael e Heartbreak Hotel di Elvis.
IN APERTURA compare il singolo, anticipato in radio e in digitale, Volevo scriverti da t an t o, una ballata classica, subito seguita dal pezzo ironico Il mio amore disperato, che cita il Libertango di Grace Jones. “È un disco molto vario”, ha spiegato Pani ieri, presentando l’album direttamente nello studio di registrazione luganese di Mina, di una elegantissima sobrietà ticinese, a parte qualche dettaglio scaramantico: ad esempio, un triangolo sgualcito di stoffa arancione, spillato con una graffetta sulla poltrona della cantante. È quel che rimane della storica sedia del primo studio milanese di Mina, detto “La basilica” perché ricavato da un ex spazio sacro, poi reclamato indietro dalla curia. “Mia madre non rinuncia mai anche al suo microfono personale, marchiato da un filo di lacca per unghie... Arriva in studio che sa già tutto, e registra al massimo due piste: di solito, è buona la prima, ma per sicu- rezza se ne incide una seconda. Non le interessa la perfezione formale, ma l’emozione”.
Cangiante, proteiforme, Maeba rispecchia l’istrionismo, sin burlone, della cantante, la prima ad aver giocato con la propria immagine, seguita a ruota, molti lustri dopo, da Madonna e Lady Gaga: qui si fa ritrarre in primo piano e di profilo in copertina, a metà tra una bambola di porcellana e una aliena umanoide. Il cortocircuito tra gli stili anima anche il disco, in cui “non c’è un genere di riferimento”: si va da A minestrina in pseudo-napoletano, in cui duetta per la prima volta con Paolo Conte, all’inedito di Giorgio Calabrese Al di là del fiume (su musica di Franco Serafini), dal soul di Ci vuole un po’ di R’n’R all’elettronica di Un soffio , arrangiata da Davide Dileo dei Subsonica.
Altrettanto assortito è il parterre dei collaboratori, con nomi noti (Danilo Rea, Luca Meneghello...) e giovani semisconosciuti (tipo Federico Spagnoli, autore di Ti meriti l’inferno): “Mia madre è il più forte talent scout d’Italia: ascolta tutto, senza pregiudizio. E sceglie quello che le piace, sostenendolo con grande coraggio, ma entrando in punta di piedi nelle canzoni altrui e interpretandole secondo la propria intuizione e sensibilità: un’operazione impensabile per chiunque altro nel mondo musicale odierno”.
Pure il suo pubblico di riferimento è quanto mai vario: “Per questo Mina è contemporanea: perché è e- xtra-generazionale. Ed è il personaggio più famoso tra gli sconosciuti: ne parlano tutti, anche se pochi la conoscono davvero”. Lontana dalla televisione da decenni – “ormai la tv è fatta dai politici, non dagli artisti”, spiega il figlio, “non si parla più la stessa lingua, non ci sono interlocutori” –, Mina è diventata un’icona per sottrazione, un’artista in contumacia, un ologramma di pura voce.
I suoi primi dischi a nome Mina – dopo che per anni si era firmata “Baby Gate” – risalgono a 60 anni fa: Il cielo in una stanza, su tutti. “Ma non festeggeremo, lei non ama le celebrazioni”.
QUINDI non c’è speranza che torni a mostrarsi in pubblico? “Una volta in studio, scherzando, abbiamo provato ad abbozzare una scaletta di pezzi che ‘non puoi non fare dal vivo’. Sono 48: sarebbe un concerto di oltre tre ore e mezza. Impossibile”.