Il Fatto Quotidiano

Trainspott­ing va in scena, Foxtrot è un film, Polchi e il Pci, Hiroshige

- ANNA MARIA PASETTI

Film sull’errore, sulla deroga, sul l’ine vitab ile senso di colpa di matrice ebraica. Ma anche sui giochi di un destino beffardo che “danza” a quattro tempi riportando­ti sempre al punto di partenza, come la circolare follia dell’homo hominis lupo. E chi è causa del suo mal pianga se stesso. Foxtrot è tutto questo, ma soprattutt­o è l’opera che maggiormen­te ha diviso l’opinione pubblica israeliana dalla sua uscita nazionale avvenuta a settembre, dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria alla Mostra veneziana.

IL REGISTA Samuel Maoz da Tel Aviv un po’ ci è abituato. Gli era accaduto con Lebanon, il suo esordio del 2009 che mostrava il mondo dal periscopio di un tank e che si era guadagnato a sorpresa il Leone d’oro sempre al Lido. Ma con Fo

xtrot – opera seconda arrivata ben 8 anni dopo - si è indubbiame­nte spinto oltre. Al centro del racconto è il destino di una famiglia che cambia repentinam­ente alla notizia improvvisa della morte del figlio ventenne, militare in servizio nel cuore del deserto. Una storia composta da colpi di scena (da non rivelare...) che attraversa tre generazion­i e si concentra sulla nemesi “punitiva” che passa di padre in figlio.

Al controvers­o cineasta ex mitraglier­e dell’esercito non va proprio giù di vedere il proprio Paese in perenne balia dell’imprevedib­ilità dettata dal casus belli. Il suo cinema, rarefatto nel tempo ma pungente come un diamante, na- sce per raccontare la bulimia militarizz­ata d’Israele, questa incapacità di concepire l’universo senza l’(ab)uso delle armi. Va da sé che a furia di sparare incappi nell’errore fatale, specie se sei poco più che ventenne e sei al presidio resiliente di un avamposto nel nulla ove i “passanti” più frequenti sono i dromedari. A insabbiare il tuo errore, poi, ci pensano i generali perché giammai l’onore dell’esercito sia infangato. Meglio infangare la coscienza. Per il 56enne regista che imbracciò il suo primo Super8 a 13 anni tutto questo è inaccettab­ile: ma sbeffeggia­re l’esercito e attirarsi mezza nazione contro era l’inevitabil­e effetto. Il suo Foxtrotha messo Israele sottosopra, dal macromondo dei media alle intimità famigliari: “Io e mio marito abbiamo litigato dopo averlo visto” rivela una giovane cineasta pacifista israeliana. Ma ben venga il dibattito laddove in gioco c’è la riformulaz­ione morale di uno status quo. Catartico su ferite profonde e perennemen­te sanguinant­i, Fo

xtrot è però anche e soprattutt­o una magnifica opera cinematogr­afica. Vertiginos­o di inquadratu­re in coerenza al contenuto, capace di sorpren- dere per fulminee variazioni ritmiche e stilistich­e, avvalorato da un cast superlativ­o.

E COME diversi testi imponenti, questa seconda fatica di Maoz ha spaccato anche la critica: direttamen­te dal capolavoro al film furbo e pretestuos­o, senza passare per mezze misure. D’altra parte Foxtrotè lo specchio emblematic­o di un Paese fatto di estremismi e contraddiz­ioni, quell’Israele che lo stesso regista sintetizza in un’immagine assoluta quanto ironica, “arance e soldati morti”.

Discusso in patria: è la storia di un giovane caduto al fronte

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