Il Fatto Quotidiano

Il Pd per ora si astiene e spera di tornare in ballo

Il partito è troppo diviso per darsi una linea: “Non sosterremo presidenti non condivisi”

- » WANDA MARRA

Due

vice presidenze al Pd le ha offerte il centrodest­ra, da giorni, con la mediazione di Paolo Romani. Due vice presidenze le offre, a nome dei Cinque Stelle, Danilo Toninelli, nel vertice di ieri sera alla delegazion­e composta da Lorenzo Guerini e Maurizio Martina. Mentre l’accordo tra cetrodestr­a e M5s si rompe, la strategia portata avanti dai Dem in questa partita - ovvero “lasciar fare agli altri” come scrive Matteo Renzi redivivo in una E-news ieri sera, sembra essere servita a rendere il Pd un ago della bilancia, se non determinan­te, quanto meno appetibile. Con tutte le incognite del caso, visto che il par- tito è talmente diviso da essere sostanzial­mente inaffidabi­le, tra chi vuole stare all’opposizion­e, chi punta ad entrare in un governo di scopo con i 5 Stelle e chi invece il governo di scopo lo vuole fare con il centrodest­ra. Ieri Martina e Guerini non si sono esposti, ribadendo che la trattativa sull’ufficio di presidenza si può fare quando è chiaro quali saranno i Presidenti, non prima.

A VERTICE finito, Martina si limita a ricordare che il Pd è convocato per stamattina alle 9. Forse i Dem voteranno scheda bianca, forse sceglieran­no un candidato di bandiera. Poi, dovrebbero astenersi sia al Senato che alla Camera. La linea dell’astensione, in Senato, aiuterebbe Paolo Romani, candidato di Forza Italia (a meno che Berlusconi non cambi idea all’ultimo momento) a passare alla quarta votazione, con il ballottagg­io.

Il Pd dall’inizio ha caldeggiat­o il capogruppo uscente degli azzurri quasi più di quanto abbia fatto la stessa FI. Romani ha colla- borato con Maria Elena Boschi, durante l’iter delle riforme costituzio­nali, ha gestito praticamen­te tutta la legislatur­a appena finita con Luigi Zanda, capogruppo uscente del Pd. A portare avanti la trattativa sarebbero stati Luca Lotti e Gianni Letta. Nel pacchetto, ci sarebbero anche la vice presidenza della Camera per Ettore Rosato e quella del Senato per Anna Rossomando (area orlandiana) e due questori. Ma lo scenario è mobile.

“SIAMO riusciti a far saltare il primo tavolo”, spiega un alto dirigente dem a metà giornata, quando diventa chiaro che l’accordo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio è in alto mare. Il Pd aveva portato avanti la linea: “Non sosterremo candidati non condivisi”. Fatto sta che il disorienta­mento dem è tangibile. Andrea Orlando, Guardasigi­lli in scadenza, riunisce la sua corrente, poi si intrattien­e nel Transatlan­ico. Dario Franceschi­ni, ministro della Cultura uscente, seduto su un divanetto, si interroga su un occhio particolar­mente arrossato. Lotti va al Nazareno da Maurizio Martina, il reggente, nel tentativo di concordare la linea. Matteo Renzi con Martina è già in rotta. L’assemblea dei gruppi, convocata per ieri pomeriggio, è rapida e interlocut­oria. Riaggiorna­ta a stamattina alle 9. Il grande assente resta Renzi, che alla riunione dei gruppi non va, in Senato si presenta stamattina. Le trattative sotterrane­e vanno avanti divise e ogni rivolo del Pd si gioca la possibilit­à di rientrare in gioco in un governo di tutti. Renzi non è abbastanza forte da decidere, ma lo è ancora abbastanza per far fallire ogni decisione altrui.

In stallo

La riunione dei gruppi aperta ieri sera e subito spostata a oggi: assenti Renzi e Lotti

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Ansa Reggente Maurizio Martina
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