Dal clic alle urne? Non proprio. Viaggio nella filiera dei dati
Le campagne politiche come le pubblicità. Le informazioni da sole non servono
Dati rubati, profilati, sottratti: la politica italiana è diventata improvvisamente esperta di privacy. Aizza le masse, chiede alla vigilanza di vigilare, alle procure di indagare. Condanna genericamente l’uso dei dati social per la propaganda politica. Come se esistesse un nesso causa - effetto automatico tra un contenuto elettorale o una fake news e il voto nelle urne, come se avere i dati di 50 milioni di americani garantisce 50 milioni di voti per Trump (o per la Lega). Ma le cose non stanno proprio così. E in Italia, non c’è questo rischio.
IL TECNICO. “Qui è impossibile che sia stato utilizzato il metodo di Cambridge Analytica. E se anche fosse, l’esito delle elezioni non sarebbe cambiato”. Dino Amenduni è un comunicatore politico e pianificatore strategico di Proforma, agenzia di comunicazione di Bari che ha curato le campagne del Pd. Parte da una premessa: il dato di cui si parla tanto non corrisponde a un nome e un cognome. Non è personale. È un identikit con associate caratteristiche sociodemografiche che, eventualmente, possono essere incrociate con la navigazione. Esempio: 30 anni, milanese, maschio, ha messo “mi piace” alla pagina di tizio. Questo dato arriva nelle mani di Cambridge Analytica. Che però usa anche il modello psicografico. Il dato in sé, infatti, non basta per la propaganda. Serve un modello per l’utilizzo. Quello elaborato da Cambridge Analytica è basato su uno studio accademico del 2012 che incrociava lo stile di navigazione degli utenti su Facebook, con i tratti di personalità estrapolati da un test diffuso sul social network. Incrociando i due elementi si potevano fare delle previsioni: una persona affetta da nevrosi potrebbe essere più sensibile a un messaggio che incuta paura. “Non esistono però evidenze scientifiche che dimostrino la correlazione diretta tra l’esposizione a un messaggio e il voto. Bisogna ragionare sul funzionamento della propaganda”. Diversa infatti è la combinazione tra l’esposizione a messaggi veicolati con la psicografia e il vissuto personale. “Se vedo un messaggio che mi dice che i mi- granti sono cattivi e poi vedo un bus pieno di migranti allora potrei pensare che quel messaggio sia verosimile - dice Amenduni - Ma senza il contesto, il messaggio non serve a nulla”. Il metodo potrebbe essere stato utile quindi solo negli Stati dove Trump ha vinto per pochi voti. “Non a New
York, per dire”.
La pianificazione social è prevista in tutte le campagne elettorali con lo stesso metodo delle pubblicità: messaggi personalizzati tramite inserzioni microtarghettizzate di Facebook. In media in Italia valgono il 15% del budget.
Parliamo con uno dei social media manager di ISayData, società che in passato ha curato l’immagine web di alcuni politici, tra cui Ignazio Marino o Gianni Cuperlo. “L’uso dei dati non è negativo - spiega - . Ricevere campagne personalizzate evita di essere inondati da quelle inutili”. Sostiene che siano più efficienti di quelle tradizionali. I contenuti sui social possono essere monitorati con più facilità, osservando le interazioni. “Studiando le reazioni si può capire come hanno votato.
Ma come funziona la filiera? Si elabora un contenuto, lo si carica nella sezione delle inserzioni di Facebook e si indica il pubblico di riferimento. Il social permette un estremo livello di personalizzazione. Non puoi arrivare a dire voglio parlare con Tizio a meno che non ti abbia dato il suo indirizzo di posta (perché si può creare un pubblico personalizzato) ma, per dire, si può decidere che arrivi a tutte le persone che hanno 30 anni, donne, sposate, interessate alla politica, ai cani, all’allattamento al seno, che abbiano N amici, che siano legati a una pagina Facebook e non a un’altra. Nulla di straordinario. Lo si fa per la pubblicità e anche per la politica. Basta pagare. Il costo.Dipende dalla durata dell’inserzione, dal pubblico e dai destinatari. Più è grande il pubblico più servono soldi. Più è piccolo più servono soldi: targettizzare l’audience aumenta il prezzo.
VARIA anche in base al numero di inserzioni online contemporaneamente su un determinato territorio o segmento sociodemografico. Se tutti vogliono parlare con i 35enni residenti in Wisconsin durante le elezioni, allora il costo aumenta. “Costa però infinitamente meno rispetto ai media tradizionali - spiega Amenduni -. Uno spot per il Super Bowl costa 5 milioni di dollari. Con la stessa cifra Trump sui social può campare per mesi”. E infatti ha speso 5 milioni per Cambridge Analytica.
E la psicologia? Riguarda anche la creatività di chi pensa la campagna. Il team di Trump ha sviluppato decine di migliaia di messaggi diversi al giorno per personalizzarli il più possibile. “L’attività per far fruttare quella mole di dati è spaventosa - dice Amenduni - In Italia non saremmo in grado di produrre una cosa del genere. I budget per le campagne stanno pure diminuendo”.
Il meccanismo “Targettizzare” richiede uno sforzo produttivo enorme. L’Italia, ad esempio, non ce l’ha