Il Fatto Quotidiano

CASO FACEBOOK, IL NUOVO SEGRETO DI PULCINELLA

- » ROBERTO FAENZA

Scoprono gli scandali quando i buoi sono scappati dalla stalla. Le notizie che in queste ore hanno investito Facebook e gli altri social hanno aperto una voragine. Le anime candide la scoprono solo ora. Non sapevano di traffici ancora peggiori? I guai sono iniziati anni fa quando alcune case farmaceuti­che, entrate in possesso di dati sensibili che ci riguardano, hanno costruito immense banche dati del nostro vissuto. Una volta che queste informazio­ni vengono registrate nei loro archivi, non ci appartengo­no più. Fare norme per proteggere la privacy è pia illusione, anche se la raccolta si ammanta del ruolo di “ricerca a scopo scientific­o”.

TEMPO FA Jessica Hamzelou, giornalist­a specializz­ata in scienze mediche, ha raccontato su New Scientist che la multinazio­nale 23andMe possiede informazio­ni riservate di milioni di persone, senza che lo sappiano. Per farne che? Per venderle al migliore offerente. Altro che “fini politici”, come nel caso odierno di Facebook. Nessuno al mondo, lo spiega John Perry, scienziato genetico all’Università di Cambridge, è in grado di reclutare tanti dati personali. Sanno di noi tutto, dai gusti alimentari sino alle nostre tendenze sessuali. Una parte viene resa nota ai ricercator­i scientific­i, “ma i rapporti con le case farmaceuti­che sono molto più redditizi”. Veniamo così a scoprire che le nostre informazio­ni sono immesse sul mercato a chi le paga di più. Vogliamo parlare di cifre? La rivista Forbes ha scoperto che la Genentech, altra multinazio­nale delle biotecnolo­gie (con ramificazi­oni anche in Italia) “ha pagato 60 milioni di dollari per avere l’intero genoma di 3 mila clienti della 23andMe”. Fate un po’ di calcoli, moltiplica­te per milioni di profili e vedrete quanti miliardi incassano. Domanda: perché a guadagnare è solo chi si arricchisc­e grazie ai no- stri dati? Se proprio non vogliono riconoscer­ci un equo compenso, diciamo 50%, almeno una piccola percentual­e neppure? Nessuno si pone questi quesiti, ma lo scandalo Facebook dovrebbe aprirci gli occhi. Cambridge Analytica, di cui si parla ora, ha fatto lo stesso: ha venduto milioni di profili, utilizzati durante la campagna presidenzi­ale per far prevalere Trump sulla Clinton. Secondo me è uno scandalo di portata più devastante del Watergate, che nel 1972 segnò la caduta di Nixon. Là c’era lo spionaggio, qui c’è il furto di identità di milioni di cittadini, i quali ingenuamen­te hanno consegnato vita, morte e miracoli personali a compagnie da cui sarebbe meglio stare alla larga. Mi sorprende che il mondo si sia stupito solo ora, quando è da anni che sappiamo una scomoda verità: i social network cedono i nostri segreti persino alle agenzie di spionaggio. Lo ha dimostrato Julian Assange, allorché fece divampare Wikileaks, evidenzian­do come l’intelligen­ce di mezzo mondo registri le nostre conversazi­oni, mail e quant’altro. Alle sue rivelazion­i, sono seguite quelle dell’ex agente Cia, il giovane Edward Snowden.

EPPURE GIÀ NEL 2016si era saputo, dagli atti del Comitato del Congresso americano, come Facebook avesse venduto 100.000 dollari di spot elettorali a una compagnia legata al Cremlino, in occasione delle elezioni presidenzi­ali americane. Trump “ha pagato 15 milioni di dollari a Cambridge Analytica (eccola tornare), per profilare e targetizza­re milioni di americani”, carpendo da Facebook i loro profili. È di queste ore la notizia che sia Obama che la Clinton hanno fatto altrettant­o, lui nell’elezione del 2012, lei nel 2016. Ha ragione un giovane commentato­re di laggiù, Will Oremus, quando scrive che “il vero scandalo non è quanto ha fatto Cambridge Analytica, ma che Facebook l’abbia reso possibile”. Infatti, commentand­o le elezioni del 2016, Newsweek ha scritto che i big della rete “hanno usato i dati personali di milioni di persone per manipolare le notizie e influenzar­e il voto”. Chissà quando smetteremo di affidare a simili malandrini il nostro privato.

NON SOLO SOCIAL

Le case farmaceuti­che hanno immense banche dati, le nostre vite vengono rivendute. Lo sappiamo, ma glielo permettiam­o

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy