Il Fatto Quotidiano

B. sei tutti loro

- » MARCO TRAVAGLIO

Noi qui a scrivere che mai Di Maio deve fare accordi con B., e neanche incontrarl­o, neppure parlargli al telefono, tantomeno votare un suo fedelissim­o pregiudica­to a presidente del Senato. Intanto, tutto intorno, anche al punto più basso della sua parabola politica, B. riciccia dappertutt­o sotto mentite spoglie. Un caso di possession­e diabolica di massa, delle persone e persino del paesaggio. Il Pd Emanuele Fiano, anziché incitare i suoi a un no chiaro e netto al condannato Romani, dice che “il diniego del M5S su Romani è un ostacolo” e si sente distintame­nte che la voce non è la sua, ma quella di B. Il Pd che si astiene, e sotto sotto tifa per il pregiudica­to seconda carica dello Stato, è figlio del berlusconi­anissimo “primato della politica” sulla legge e dell’abbandono della questione morale berlinguer­iana per legittimar­e tutti gli inciuci passati, presenti e futuri. L’indifferen­za dei giornaloni per la sentenza della Cassazione su un politico che guadagna soldi a palate con tripli e quadrupli incarichi e tenta di accollare ai contribuen­ti pure le bollette telefonich­e della figlia, poi si candida a presidente del Senato, è l’ultimo stadio del berlusconi­smo che ha sfigurato la cosiddetta informazio­ne, ormai immemore dei propri doveri e anche del proprio non indecente passato (basta confrontar­e le battaglie della stampa su Tangentopo­li e i silenzi odierni).

Lotti che incontra Letta per un nuovo Nazarenino prêt-à-porter con B., in barba al giuramento dei renziani di stare all’opposizion­e, sull’Aventino, per godersi lo sfascio prodotto da loro, è berlusconi­smo allo stato puro. Il pm milanese che chiede al Tribunale di condannare l’ex governator­e Bobo Maroni a 2 anni e mezzo per induzione indebita (la vecchia concussion­e per induzione) a proposito delle pressioni fatte per portarsi a Tokyo, in missione istituzion­ale, la sua presunta amante, ricorda come il familismo amorale berlusconi­ano abbia contagiato gli ex duri e puri della Lega, nata proprio contro i nepotismi e gli sperperi di “Roma ladrona”. La sparata di Tiziano Renzi che rifiuta di rispondere ai pm di Firenze e Roma non per una legittima strategia difensiva, ma per attaccare i“processi mediatici” a orologeria originati – a suo dire – non dai fallimenti di sue società, dai pasticci contabili, dalle fatture farlocche, dai traffici sugli appalti Consip, ma dal suo cognome e dall’ansia di colpire il figlio premier, e la nota di Matteo che s’affretta a dargli ragione (“Da 4 anni le persone a me vicine sono state oggetto di indagini di vario genere”), sono purissima prosa berlusconi­ana, o dell’utriana, o previtiana.

Stesse parole, stesso disprezzo per l’indipenden­za della magistratu­ra e per la libertà di stampa, stessa protervia da “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. E la pestilenza B. dilaga persino alla Consulta, un tempo tempio della legalità. Non appena il giudice costituzio­nale Nicolò Zanon (ovviamente berlusconi­ano) si dimette perché indagato per peculato a proposito dell’auto blu – con autista e buoni benzina – passata alla moglie per farla scarrozzar­e a sbafo pure in vacanza da Forte dei Marmi, la Corte respinge le sue dimissioni. E accoglie la sua farsesca “autosospen­sione” dall’incarico. Poi gli confeziona un regolament­o domestico ad p er s on am , anzi ad Zanonem, con “valenza di normazione primaria” e con effetto retroattiv­o, per salvarlo dall’indagine in base a un principio che sarebbe già previsto (secondo lorsignori) da una normativa interna del 1979 (e allora perché vararne un’altra proprio adesso?): e cioè che l’auto di servizio fino all’altroieri era una specie di proprietà privata con soldi pubblici, estesa pure ai famigliari; ma in futuro non potrà più esserlo, essendo concessa in uso “personale ed esclusivo”. Così ieri, in base al nuovo regolament­o (che ai tempi degli scarrozzam­enti di lady Zanon non esisteva: è del 21 marzo), la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazi­one dell’inchiesta a tempo di record. Bei tempi, quando la Consulta le leggi ad personam non le faceva, ma le dichiarava incostituz­ionali.

Aveva ragione Gaber venti e più anni fa, quando paventava “il Berlusconi in me più del Berlusconi in sé”. Nel frattempo B. si è fatto legione, atmosfera, clima, panorama, categoria dello spirito. Non per tutti, ma per molti. Anche se non può metter piede in Parlamento e hanno lo stomaco di votarlo soltanto il 13% degli elettori (che sono comunque 4 milioni e mezzo di persone: un’enormità), non riusciremo a liberarcen­e neppure da morto, perché continuerà a far danni nella testa e nelle viscere di milioni di italiani per decenni. Girarci intorno come fosse una parentesi sarebbe assurdo. E sperare in un esorcismo di massa perché esca da tutti quei corpi sarebbe ridicolo: non basterebbe­ro un milione di padri Amorth e vescovi Milingo. Ora che la Consulta s’è arresa alle leggi ad personam retroattiv­e, ne appronti subito un’altra per cancellare la destituzio­ne di B. da senatore in base alla legge Severino e lo restituisc­a ai suoi fan a Palazzo Madama e fuori (molto più numerosi dei suoi senatori e anche dei suoi elettori), così che venga eletto direttamen­te lui alla presidenza. Ieri Salvini ha mollato Romani e dunque B., votando Annamaria Bernini, rara avisdi forzista incensurat­a e financo perbene, gradita anche al M5S. Ma la Bernini ha dovuto subito ritirarsi, perchè un presidente del Senato forzista e pulito sarebbe un ossimoro. E anche un lusso che non possiamo permetterc­i. Molto meglio un’operazione verità e trasparenz­a che dia finalmente rappresent­anza dichiarata, formale, ufficiale all’Italia dei tangentari, evasori, piduisti e mafiosi. Così non dovranno più nasconders­i, ma potranno sfilare orgogliosi sotto Palazzo Madama e urlare “Silvio, sei tutti noi”.

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