Salvini uccide un B. morto
La Lega vota Bernini presidente del Senato. FI: “Tradimento”. Lei si ritira Di Maio: “Bene anche profilo simile”. Re Giorgio contro il Pd, mai in partita
■ La legislatura parte e la coalizione di centrodestra va in frantumi alla prima scelta. Il Carroccio decide di non far convergere i propri consensi su Romani e sceglie l’altra esponente di Forza Italia. Ora si rafforza l’ipotesi Bongiorno
Il primo giorno della legislatura inizia e finisce allo stesso modo: a schiaffoni. I primi li ha mollati Giorgio Napolitano nella sua veste di presidente temporaneo del Senato, gli ultimi se li stanno dando, ancora mentre andiamo in stampa, i leader del centrodestra. Quasi fatale che le ferite di un risultato elettorale così violento e frastagliato mandassero in fibrillazione le Camere alla loro prima convocazione e che, a innescare direttamente o indirettamente lo scontro, fossero i gruppi usciti malconci dalle urne: Forza Italia, persa dietro i rancori e le indecisioni di Berlusconi, e il Pd, ormai definitivamente spaccato tra renziani e non, finora non sono stati in grado di fare politica. Se la notte non porterà consiglio, convincendo Silvio Berlusconi a proporre e votare un terzo candidato forzista (magari la citatissima Elisabetta Alberti Casellati), l’elezione dei presidenti delle Camere finirà per scompaginare quel che resta del quadro politico nazionale come era emerso dal sisma elettorale.
NAPOLITANO, dicevamo, è l’uomo che ha interrotto per primo le festosità da primo giorno di scuola. Re Giorgio, quasi 93 anni, è attore che non rinuncia alla scena e, come aveva annunciato, ieri non s’è limitato alle ovvietà, dipingendo un quadro fosco che è anche il doloroso annuncio della sua personale sconfitta: “Le ultime elezioni hanno determinato un netto spartiacque a inequivocabile vantaggio dei movimenti e delle coalizioni che hanno compiuto un balzo in avanti clamoroso nel consenso degli elettori e che quindi di fatto sono oggi candidati a governare il Paese. In pari tempo, il partito che nella scorsa legislatura aveva guidato tre esecutivi ha subito una drastica sconfitta ed è stato respinto al l’op pos izio ne”. Tradotto: hanno vinto M5S e Lega, a loro spetta governare, e sono stati bocciati gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni (dei primi due, peraltro, lui è stato il dante causa politico).
Finito? Macché. Il voto, dice Napolitano, ha premiato “le posizioni di più radicale contestazioni di vera e propria rottura rispetto al passato” e questa “contestazione è scaturita da forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti comprendenti famiglie del popolo e della classe media”, mentre “i vecchi partiti” sono stati percepiti come “lontani e chiusi rispetto alle sofferte vicende personali di tanti e ai diffusi sentimenti di insicurezza e allarme”. Nel Sud, poi, “la dilagante ribellione” contro “il cronico, intollerabile squilibrio” rispetto al Nord, ha “condannato in blocco circoli dirigenti e gruppi da tempo stancamente governanti quelle regioni” anche per “i troppi esempi da essi dati di clientelismo e corruzione”.
Infine lo schiaffo più dritto: “Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l’autoesaltazione dei ri- sultati ottenuti negli ultimi anni da governi e partiti di maggioranza”. Matteo Renzi, il tizio di #avanti e #Italiariparte, è seduto lì davanti, ascolta distratto e proprio in quel momento è impegnato a salutare qualcuno. Anche la tradizionale invocazione dell’Europa salvifica dimostra quanto Napolitano abbia avvertito que- ste elezioni come una bocciatura della sua stessa parabola di questi anni: “Non può mancare il senso di un comune destino italiano e europeo. Per quanto anche a questo proposito nulla può più darsi per irreversibile o scontato”. La frase fra tutte che deve essergli costato di più pronunciare.
Il resto della giornata scorre a suo modo tranquillo fino a sera. Al primo giro pioggia di schede bianche alla Camera e pioggia pure in Senato in attesa che Berlusconi recuperi un po ’ di buonsenso e indichi qualcuno che non sia Paolo Romani alla presidenza. L’ex Cavaliere, però, non si smuove e allora Matteo Salvini, al secondo giro, s’inventa - in concerto col M5S - il voto leghista per la senatrice berlusconiana Anna Maria Bernini: un modo per spingere Berlusconi a cambiare cavallo e indicare Casellati (e che però finisce per irritare alla morte il Biscione: “la coalizione è finita”). Nel frattempo, siamo sempre attorno alle 18, alla Camera l’asse Lega-M5S impone all’assemblea di procedere anche alla terza votazione a vuoto (contraria FI) in modo da “allineare” i calendari delle due Camere: le elezioni decisive sono infatti la terza in Senato (quando i due più votati finiscono al ballottaggio) e la quarta a Montecitorio ( quando il quorum scende fino alla maggioranza assoluta dei votanti).
Il patto Lega-M5S
A sera diventa chiaro coi voti a Bernini e l’allineamento dei calendari delle Camere
SI SVOLGERANNO in contemporanea stamattina – sal vo rinvii per guadagnare tempo – e al momento non è chiaro se il fu Caimano deciderà di chinare la testa o restare con un pugno di mosche.