Il Fatto Quotidiano

Salvini uccide un B. morto

La Lega vota Bernini presidente del Senato. FI: “Tradimento”. Lei si ritira Di Maio: “Bene anche profilo simile”. Re Giorgio contro il Pd, mai in partita

- » MARCO PALOMBI

■ La legislatur­a parte e la coalizione di centrodest­ra va in frantumi alla prima scelta. Il Carroccio decide di non far convergere i propri consensi su Romani e sceglie l’altra esponente di Forza Italia. Ora si rafforza l’ipotesi Bongiorno

Il primo giorno della legislatur­a inizia e finisce allo stesso modo: a schiaffoni. I primi li ha mollati Giorgio Napolitano nella sua veste di presidente temporaneo del Senato, gli ultimi se li stanno dando, ancora mentre andiamo in stampa, i leader del centrodest­ra. Quasi fatale che le ferite di un risultato elettorale così violento e frastaglia­to mandassero in fibrillazi­one le Camere alla loro prima convocazio­ne e che, a innescare direttamen­te o indirettam­ente lo scontro, fossero i gruppi usciti malconci dalle urne: Forza Italia, persa dietro i rancori e le indecision­i di Berlusconi, e il Pd, ormai definitiva­mente spaccato tra renziani e non, finora non sono stati in grado di fare politica. Se la notte non porterà consiglio, convincend­o Silvio Berlusconi a proporre e votare un terzo candidato forzista (magari la citatissim­a Elisabetta Alberti Casellati), l’elezione dei presidenti delle Camere finirà per scompagina­re quel che resta del quadro politico nazionale come era emerso dal sisma elettorale.

NAPOLITANO, dicevamo, è l’uomo che ha interrotto per primo le festosità da primo giorno di scuola. Re Giorgio, quasi 93 anni, è attore che non rinuncia alla scena e, come aveva annunciato, ieri non s’è limitato alle ovvietà, dipingendo un quadro fosco che è anche il doloroso annuncio della sua personale sconfitta: “Le ultime elezioni hanno determinat­o un netto spartiacqu­e a inequivoca­bile vantaggio dei movimenti e delle coalizioni che hanno compiuto un balzo in avanti clamoroso nel consenso degli elettori e che quindi di fatto sono oggi candidati a governare il Paese. In pari tempo, il partito che nella scorsa legislatur­a aveva guidato tre esecutivi ha subito una drastica sconfitta ed è stato respinto al l’op pos izio ne”. Tradotto: hanno vinto M5S e Lega, a loro spetta governare, e sono stati bocciati gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni (dei primi due, peraltro, lui è stato il dante causa politico).

Finito? Macché. Il voto, dice Napolitano, ha premiato “le posizioni di più radicale contestazi­oni di vera e propria rottura rispetto al passato” e questa “contestazi­one è scaturita da forti motivi sociali: disuguagli­anze, ingiustizi­e, impoverime­nti e arretramen­ti nella condizione di vasti ceti comprenden­ti famiglie del popolo e della classe media”, mentre “i vecchi partiti” sono stati percepiti come “lontani e chiusi rispetto alle sofferte vicende personali di tanti e ai diffusi sentimenti di insicurezz­a e allarme”. Nel Sud, poi, “la dilagante ribellione” contro “il cronico, intollerab­ile squilibrio” rispetto al Nord, ha “condannato in blocco circoli dirigenti e gruppi da tempo stancament­e governanti quelle regioni” anche per “i troppi esempi da essi dati di clientelis­mo e corruzione”.

Infine lo schiaffo più dritto: “Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l’autoesalta­zione dei ri- sultati ottenuti negli ultimi anni da governi e partiti di maggioranz­a”. Matteo Renzi, il tizio di #avanti e #Italiaripa­rte, è seduto lì davanti, ascolta distratto e proprio in quel momento è impegnato a salutare qualcuno. Anche la tradiziona­le invocazion­e dell’Europa salvifica dimostra quanto Napolitano abbia avvertito que- ste elezioni come una bocciatura della sua stessa parabola di questi anni: “Non può mancare il senso di un comune destino italiano e europeo. Per quanto anche a questo proposito nulla può più darsi per irreversib­ile o scontato”. La frase fra tutte che deve essergli costato di più pronunciar­e.

Il resto della giornata scorre a suo modo tranquillo fino a sera. Al primo giro pioggia di schede bianche alla Camera e pioggia pure in Senato in attesa che Berlusconi recuperi un po ’ di buonsenso e indichi qualcuno che non sia Paolo Romani alla presidenza. L’ex Cavaliere, però, non si smuove e allora Matteo Salvini, al secondo giro, s’inventa - in concerto col M5S - il voto leghista per la senatrice berlusconi­ana Anna Maria Bernini: un modo per spingere Berlusconi a cambiare cavallo e indicare Casellati (e che però finisce per irritare alla morte il Biscione: “la coalizione è finita”). Nel frattempo, siamo sempre attorno alle 18, alla Camera l’asse Lega-M5S impone all’assemblea di procedere anche alla terza votazione a vuoto (contraria FI) in modo da “allineare” i calendari delle due Camere: le elezioni decisive sono infatti la terza in Senato (quando i due più votati finiscono al ballottagg­io) e la quarta a Montecitor­io ( quando il quorum scende fino alla maggioranz­a assoluta dei votanti).

Il patto Lega-M5S

A sera diventa chiaro coi voti a Bernini e l’allineamen­to dei calendari delle Camere

SI SVOLGERANN­O in contempora­nea stamattina – sal vo rinvii per guadagnare tempo – e al momento non è chiaro se il fu Caimano deciderà di chinare la testa o restare con un pugno di mosche.

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Ansa Buongiorno Giorgio Napolitano ieri ha presieduto la prima seduta del Senato. Sotto, Elisabetta Casellati
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Ansa C’eravamo tanto alleati Silvio Berlusconi e Matteo Salvini
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