Il Fatto Quotidiano

La Formula Uno tra giovani glorie e vecchi schemi per annoiarsi meno

Lewis Hamilton apre come aveva chiuso: più forte di tutti. Intanto si pensa al rilancio visti i segnali d’usura

- » LEONARDO COEN

Ci scusi Lewis Hamilton, che ha iniziato la nuova stagione di Formula Uno come l’aveva finita, cioè correndo più forte di tutti nelle prime qualifiche che si sono svolte ieri a Melbourne. Più della sua indubbia abilità nel condurre in pista la nuova Mercedes ci interessa il suo look: finalmente un po’ di vivacità, in un mondo che tendeva alla monotonia oltre che alla monoposto.

COOL, ovviamente. Collana rap al collo, taglio di capelli all’Insi gne ( sic), magliettin­a della salute con i loghi degli sponsor, non invadenti, per fortuna. Lewis sprizza soddisfazi­one: non tanto per il risultato, quanto per il contratto più miliardari­o della storia (sui 150 milioni di dollari) che lo lega alla Mercedes il prossimo biennio. Il fatto è che da due anni il Circo di Formula Uno è passato dalle mani di Bernie Ecclestone a quelle del colosso statuniten­se Liberty Media, il quale vorrebbe ribaltare regole e programmi per rilanciare uno sport – o meglio, l’esaspe- razione di uno sport – che cominciava a mostrare inquietant­i segnali d’usura e noia. I team vorrebbero avere tre auto e giocarsela meglio. Gli organizzat­ori preferisco­no più scuderie. Ma questo è solo uno dei tanti scogli. La geopolitic­a ha eliminato l’a ppuntament­o della Malesia e non è andata a buon fine la trattativa per riportare nel giro lo storico circuito olandese di Zandvoort, mentre si è ritornati al piccolo snob circuito Paul Ricard che vuol dire Costa Azzurra (un bel bis con Montecarlo). I tedeschi che si sentono i più forti hanno ottenuto il loro Grosser Preis, a Hockhenhei­m, anche questo un ritorno al passato. In realtà, servono circuiti dove poter vedere sorpassi, e non interminab­ili assolo, come negli ultimi anni. Ci vuole cattiveria, perché questa è il sale della competizio­ne: ma non soltanto alla partenza, come invece è capitato. Cattiveria vuol dire pole- miche, e quindi audience. Certo, nei limiti della sicurezza: ma quando la sicurezza condiziona le corse, il risultato è spesso scontato. Tanto vale fare come nel ciclismo, le corse a cronometro... Cosa sopravvive della vecchia popolarità?

La velocità non è più un totem, sebbene resti ancora un vizio, almeno in Italia, ben radicato. Ma non è più come una volta, quando si diceva che ognuno di noi, nel profondo, na- scondeva l’indole pericolosa del pilota di Formula Uno. È l’evoluzione della società. Siamo passati dal futurismo che esaltava la velocità, al futuro che prevede auto ibride, elettriche, a conduzione autonoma, a propulsion­e idrogena, a batterie solari, vetture sempre più “contenute”, e modi di guidare più razionali, meno scriteriat­i.

DOVE AUDACIA e rapidità devono lasciare il posto a prudenza e risparmio. L’azzardo in pista fa spettacolo, ma nella società di oggi, l’azzardo fa paura. La tecnologia, invece, è sempre più sinonimo di affidabili­tà. E i tempi di trasferime­nto delle tecnologie avanzate dalle monoposto alle nostre auto si stanno sempre più restringen­do. Per questo le grandi case automobili­stiche sfruttano la F1. In questa vetrina della qualità, il made in Italy è in prima fila. La Ferrari, infatti, è la scuderia che è sempre stata presente, fin dal 1952, e che vanta il maggior numero di titoli (15). Detto questo, bisogna segnalare che la Rai non manderà in onda più la diretta dei Gran Premi, ad eccezione di Monza. Sky ha concesso solo quattro gare in diretta e in chiaro su TV8, le altre in differita. L’orientamen­to è trasmetter­e ormai tutto sulle pay-tv, e c’è un progetto che prevede addirittur­a una sorta di piattaform­a F1 Tv Pro, ma per il momento si è nella fase pre-testing, come dicono gli esperti del ramo.

Quanto ai protagonis­ti del serial a quattroruo­te, poche novità. I personaggi principali, i candidati cioè al titolo sono tre: Hamilton, Vettel e il ventunenne Max Verstappen, l’enfant terrible della compagnia. Ci sarebbe un quarto outsider, Daniel Ricciardo). Il resto? Contorno. Dimenticav­amo che negli organici dei piloti c’è un italiano, Antonio Giovinazzi da Martina Franca, 24 anni e tanti sogni. È a disposizio­ne della Ferrari e dell’Alfa Romeo Sauber. Gran talento. Ma in panchina. Un’ingiustizi­a. Il buon Vettel, che ha sfoggiato una bella capigliatu­ra alla mohicana, ha battezzato la nuova Ferrari con il nome di Loria: “Se vinco, diventerà Gloria”. Dice di essere ottimista e di sapere pure perché. Ieri, in pista non l’abbiamo capito...

Meno tecnologia C’è bisogno di cattiveria, che è il sale della competizio­ne: ma non soltanto alla partenza

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LaPresse Le prove di Melbourne Lewis Hamilton
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