Il Fatto Quotidiano

Derivati, al via il processo a Tesoro e Morgan Stanley

Il casoDomani inizia il procedimen­to della Corte dei conti per i contratti chiusi a fine 2011 I pm contabili contestano un danno di 4 miliardi di euro a banca, dirigenti ed ex ministri

- » CARLO DI FOGGIA

Il caso è a suo modo storico. La Corte dei conti chiede danni miliardari per alcuni contratti derivati alla banca che li ha venduti, la Morgan Stanley, e ai dirigenti del Tesoro che li hanno gestiti. Giovedì ci sarà la prima udienza di un processo osservato anche fuori dai confini italiani per le cifre e gli attori in causa. Le associazio­ni dei consumator­i, come Codacons e Federconsu­matori hanno già aderito.

LA VICENDA è nota. La Procura contabile del Lazio, dopo una lunga inchiesta guidata dal pm Massimilia­no Minerva ha contestato un danno erariale di 3,9 miliardi di euro, di cui 2,7 alla banca d’affari Usa e 1,2 ai dirigenti del ministero dell’Economia che gestirono a vario titolo la stipula dei contratti: l’ex responsabi­le del debito pubblico Maria Cannata, il direttore generale Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli. Tra fine 2011 e inizio 2012, nel pieno delle turbolenze finanziari­e, il Tesoro ( governo Monti) versò 3,1 miliardi a Morgan Stanley che aveva chiesto il rientro dall’esposizion­e in derivati entro un limite fissato da una clausola (Ate) prevista in un accordo quadro siglato con la banca nel 1994 (dg del Tesoro era Mario Draghi), negli anni degli sforzi fatti per entrare nell’euro, anche a costo di alcune, diciamo, cosmesi contabili.

Secondo la Corte dei conti la gestione di quei derivati oggetto della transazion­e è stata “sconcertan­te”, e caratteriz­zata da mala gestione, gravi imprudenze e irregolari­tà. L’esistenza della clausola, il cui tetto fu superato quasi subito, avrebbe dovuto spingere il Tesoro a gestirli diversamen­te. O a non farli, visto che molte delle operazioni contestate sono “swaption”, opzioni che permettono a chi le vende (nel caso, il Tesoro) di incassare un premio e a chi le acquista (la banca) di sottoscriv­ere un derivato a determinat­e condizioni, che ovviamente esercita solo se gli conviene. Per i pm contabili quei contratti erano “speculativ­i”, quindi inidonei alla ristruttur­azione del debito pubblico, l’unica finalità consentita per usare i derivati.

Il Tesoro ha sempre spiegato di esseri attenuto alle regole. Stessa linea della banca Usa, a cui i pm contestano la responsabi­lità principale del danno. Come ha rivelato il Fatto, Morgan Stanley ha provato a chiudere la vicenda ventilando in via informale una transazion­e di circa 30 milioni. Vista la cifra, ha trovato le porte chiuse. Stando ai rumors finanziari, la strategia difensiva della banca è incentrata a dimostrare di aver rispettato tutte le norme, di non aver imposto nulla al ministero e di non poter essere assoggetta­ta alla giurisdizi­one del- la Corte dei conti. Quest’ultimo è un punto dirimente. Morgan stanley sembra orientata a chiedere ai giudici contabili il difetto di giurisdizi­one (riservando­si di sollevare la questione in Cassazione) negando di aver avuto un ruolo di consulente contrattua­le, che per la giurisprud­enza corrente può rispondere del danno erariale. Secondo i pm contabili Ms si è invece mossa come se lo fosse, nel doppio ruolo di contropart­e nei contratti derivati e di “Specialist” – cioè di banca che assiste il Tesoro nelle aste dei titoli di Stato e che avrebbe un canale privilegia­to nella vendita dei derivati. In audizione in commission­e Banche, i pm contabili lo hanno definito un “rapporto di fatto o anche contrattua­le, di servizio con lo Stato” caratteriz­zato dall’elemento fiduciario, con un ruolo “predominan­te” della banca a fronte della tendenza del ministero a “subire le scelte”.

LA GRAN PARTE dei derivati sottoscrit­ti dallo Stato italiano serviva a proteggers­i da un rialzo dei tassi, che però non si è verificato. A fine 2016 il Tesoro aveva derivati in essere su 145,9 miliardi di titoli sovrani. Lo scorso anno l’impatto negativo sul bilancio è stato di oltre 8 miliardi. È probabile che l’esito del processo sia attenziona­to dalle banche specialist - in alcune delle quali peraltro sono finiti Grilli e Siniscalco ( il secondo proprio in Morgan Stanley) - visto il loro rapporto col Tesoro e che la disputa sarà accesa. Domani c’è il primo round.

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Ansa Occhi puntati sull’Italia La banca d’affari Usa Morgan Stanley

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