Adesso il problema è Di Maio: nessuno vuole che sia premier
Il veto su Palazzo Chigi Il leghista Giorgetti gli chiede ufficialmente il passo indietro. E il capo M5S ora rischia anche per l’incarico a Fico
Si è dato altri quattro giorni per provarci con Matteo Salvini. Poi da lunedì si dedicherà a ll ’ altro forno, al Pd. Ma il Luigi Di Maio che cerca un alleato e quindi la quadra per un governo, sa bene che cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non può cambiare: ossia, per costruire un esecutivo serve un suo passo di lato. Perché la Lega che gli lancia un amo, chiedendogli di “rinunciare ad almeno uno dei due veti”(no a Berlusconi e lui a Palazzo Chigi), come il Pd che si mostra un po’ più aperto, insistono sulla stessa nota. Ossia l’intesa ci sarà solo con un altro nome per la presidenza del Consiglio. Ed è un nodo che può diventare un macigno, per Di Maio. Per il quale Matteo Salvini resta l’alleato più naturale, nonostante tutto. E infatti appena uscito dall’incontro con Casellati ricorda: “Noi e la Lega siamo gli unici partiti che non si sono posti veti a vicenda”. Tanto che il renziano Delrio punge: “Di Maio vuole fare l’accordo solo con il Carroccio”. E al dimaiano doc Alfonso Bonafede tocca precisare: “Di Maio rispondeva a una domanda su un governo con l’intero centrodestra”.
MA IL TEMPO scorre veloce, per il candidato premier e per il Quirinale. E allora, come anticipato ieri dal Fatto, Di Maio aspetterà fino a domenica che Salvini strappi con Berlusconi, “perché deve decidere entro questa settimana”. Poi si passerà definitivamente all’altro forno, al Pd: e a un nuovo esploratore, che ha già la fisionomia del presidente della Camera Roberto Fico. Il 5 Stelle“rosso ”, che nel discorso di insediamento ha citatole Fosse ardeatine e i beni comuni. Un collante naturale per un accordo con Dem e Leu, che vedrebbe l’appoggio esterno del Pd. E che secondo le voci “di dentro” potrebbe prendere forma in una data simbolica, il 25 aprile: il giorno della Liberazione dal nazifascismo, ma anche il decennale del secondo V- Day di Beppe Grillo, a Torino.
Suggestioni, forse, che valgono comunque come indizi dell’aria che tira. Ma la strada verso un esecutivo resta piena di buche e angoli bui. Perché Fico è anche l’ortodosso per eccellenza, l’ultimo rivale del capo assoluto Di Maio. A cui da sinistra sussurrano di provare a scavalcare il candidato premier, per saltare da Montecitorio direttamente a Palazzo Chigi. Ma dai piani alti del Movimento giurano di fidarsi ciecamente di Fico, e di augurarsi la sua investitura: “Roberto è in totale linea con il Movimento: se avrà un incarico esplorativo lavorerà solo sull’ipotesi di Di Maio premier, lavorerà per noi”. Anzi, “un incarico a lui sarebbe solo un anticipo di un pre-incarico a Luigi”. E su un punto hanno ragione: Fico non pensa affatto a colpi di mano. Non è nella sua natura, “e poi sta benissimo dov’è”, come conferma un parlamentare a lui vicino. Però l’insidia è nelle cose. E si percepisce nelle chiacchiere dei parlamentari di entrambi i fronti nel Transatlantico affollato. Con i 5Stelle che rac- contano la loro grande paura: “Se danno l’incarico esplorativo a Fico, il Pd sfrutterà questa cosa per pretendere che a Palazzo Chigi ci vada lui. E Mattarella potrebbe pure a- deguarsi, pur di chiudere”. Tradotto: il presidente della Camera non vuole farlo, ma da sinistra proveranno in ogni modo a tirarlo dentro. E comunque verrà pretesa come condizione che Di Maio faccia un passo indietro. Quello che torna a chiedergli per la milionesima volta la Lega, con il capogruppo alla Camera Giancarlo Giorgetti. Il motore del Carroccio, che apre uno spiraglio: “Di Maio rinunci ad almeno uno dei due veti”. Ossia, se dovesse rinunciare a Palazzo Chigi, forse la Lega potrebbe convincere Berlusconi a starsene fuori.
ERGO , le pressioni per un terzo nome sono sempre più forti. Di Maio lo sa perfettamente: e non a caso ieri sera è tornato a riunire i gruppi parlamentari. Innanzitutto, perché vuole condividere ogni passaggio con l’ assemblea, così da attenuare l’immagine di un Movimento guidato da un capo assoluto. Ma anche per tastare il polso agli eletti, capire se la tentazione di un terzo nome prende piede anche tra i suoi. Poi, in serata, l’assemblea. E il Di Maio che fa il test agli eletti: “La Lega mi ha chiesto di prendermi Berlusconi e Meloni e di fare un passo di lato: chi è d’accordo?”. Tutti ridono, nessuno alza la mano.
Insomma, ufficialmente si scherza. Ma di fatto il candidato controlla la temperatura ai parlamentari. Perché l’ossessione era ed è mantenere la compattezza, tenere i ranghi uniti. Poi parlano anche i suoi. Il senatore lucano Vito Petrocelli cita il famoso, ultimo discorso di Aldo Moro del 28 febbraio 1978, in cui il presidente del Consiglio insisteva sulla necessità di accettare l’appoggio del Pci a un monocolore della Dc. Un deputato molisano invece contesta la definizione della sua regione come l’Ohio italiano, ossia come un voto decisivo per il futuro. E Di Maio conferma che le Regionali non peseranno sulla formazione del governo. Ammesso che se ne faccia uno. Con lui premier, ovviamente.
DI MAIO IN ASSEMBLEA La Lega mi ha chiesto di prendermi Berlusconi e Meloni e di fare un passo di lato: c’è qualcuno tra di voi che è d’accordo? GIANCARLO GIORGETTI (LEGA) Se non cade almeno uno dei due veti di Di Maio (sulla premiership e su Forza Italia), il tentativo è destinato a fallire