“L’Atomica era un deterrente, non c’è mai stata”
Il medico cooperante racconta dieci anni vissuti al Nord in missione dopo le alluvioni
Venerdì è stata la giornata più bella della mia vita” esclama Massimo Urbani, il primo coordinatore residente della Cooperazione Italiana e console nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. “Finalmente è finita la guerra” dice Urbani, medico di San Benedetto del Tronto, esperto di cooperazione internazionale, sbarcato nel 1996 dalla luce dell’Africa (Camerun) a Pyongyang, con un incarico umanitario assegnato dall’Unione europea. Quella stretta di mano tra Kim Jong-un e Moon jae in al 38° parallelo è stato un gesto memorabile?
Più che memorabile, perché gli eventi storici sono unici. Questa è la terza volta che si incontrano, sono tre generazioni che il popolo coreano è diviso. Ieri mi hanno colpito le facce di tutti gli attori, erano tutti emozionati, c’era gioia nei loro visi. Dopo 60 anni è finita una guerra. Questo vuol dire serenità, armonia per un popolo. Lo dico come medico: è stato come vedere un malato uscire dal coma.
Eppure quest’i ncon tro studiato in tutti i dettagli sembrava uno show. Propaganda spettacolare? Pyongyang è una città buia, non c’è niente, lugubre. Una giornalista della France P r es s e ieri ha detto che a Pyongyang non sapevano nulla dell’incontro tra i due leaders. Non è vero. Può essere che alcuni cittadini non fossero informati.
Come è iniziata la sua esperienza in Corea del Nord?
Dirigevo dei progetti dell’ospedale Fatebenefratelli in Camerun, da Bruxelles mi chiesero se volevo andare in Corea. Era il 1996 e non sapevo neanche dove fosse la Corea del Nord, ma dissi di sì e partii con la mia famiglia.
Primo impatto?
Avevo 55 anni, fu come tornare in Italia da bambino, nell’Italia dei valori, dove si credeva nel lavoro. Tutti ci guardavano. Eravamo gli unici bianchi. Ma fu un’esperienza bella, grazie alla serietà e la bravura di tutte le persone che partecipavano ai progetti. Andammo per le alluvioni e poi mori Kim Il Sung, il grande leader. Ma i progetti della Comunità europea, poi quelli dell’Unicef furono portati a termine, fu riconosciuto il nostro lavoro, anche nella ricostruzione dell’ospedale di Hoeryong. Oltre 30 milioni di euro sono stati spesi in tutta la nazione.
Quanto è durata la sua esperienza ?
Andai via nel 2007, ma torno sempre per avviare altri progetti. La cooperazione italiana continua con gli aiuti agroalimentari.
Nel 2008 lei ha scritto un testo dicendo che i bimbi coreani non hanno bisogno solo di cibo, ma di libri, di giocattoli, di aria pura, non più di colpevolizzazioni.
I bimbi hanno bisogno di pace. Ho passato dieci anni con loro al buio, al freddo, in silenzio. Per anni si è parlato dei bimbi coreani affamati, sono state pubblicate quelle immagini struggenti di bimbi impauriti, che marciavano a passi di guerra, ma loro sono come tutti i bambini che vogliono correre, giocare, divertirsi, ed è questo che bisogna capire. Emulavano i padri in guerra. Mi ha sempre colpito la grande dignità di questo popolo, lo spirito di sopportazione.
Finita la guerra, addio all’atomica?
L’atomica era un deterrente, non è mai esistita. Quelle prove erano dei razzi che partivano da una foresta. Si diceva che alcuni missili potessero arrivare fino a Parigi, mi sembrano tutte fake news. In Corea del Nord c’è ancora tutto il sistema elettrico e idrico da mettere a posto. Chi non sa, non vede.
Gli esperimenti erano razzi che partivano dalla foresta: lì c’è ancora tutto il sistema elettrico e idrico da mettere a posto