Raid nel bar: quattro arresti Il gip: “Casamonica mafiosi”
L’ordinanza Per il giudice i membri del clan sono “padroni” della periferia sud-est della Capitale. Nessuno aiutò la disabile pestata: “Sconcertante”
Sono i “padroni” della Romanina, la periferia sud-est della Capitale – dove si trova il “Roxy bar”, luogo del raid della domenica di Pasqua – i Casamonica e i Di Silvio. E non aver ceduto alla loro prepotenza è costato a Marian, barista romeno, e a una donna disabile una feroce aggressione. Così il gip Clementina Forleo contestualizza ciò che è avvenuto il 1° aprile scorso nell’ordinanza di misura cautelare che ha portato in carcere tre persone (Antonio Casamonica, Alfredo e Vincenzo Di Silvio) e ai domiciliari il più anziano Enrico Di Silvio.
A vario titolo sono accusati di violenza privata, lesioni personali e danneggiamento. Ma è proprio per il dominio criminale del territorio e per la forza di intimidazione, che a tutti viene contestata l’aggravante di “aver utilizzato il ‘metodo mafioso’, consistito nell’ostentare, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea a esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella intimidazione proprie delle organizzazioni mafiose”.
CONSEGUENZA di ciò è la paura di chi non interviene neanche quando la vittima è una disabile. E donna, peraltro l’unica presente quel giorno nel Roxy Bar. È lei che ad Antonio Casamonica e Alfredo Di Sil- vio – i quali esordivano con “questi rumeni di merda non li sopporto proprio”– ha spiegato che potevano andare altrove. A quel punto, secondo quanto ricostruito dal gip, il Casamonica le toglie gli occhiali, mentre il Di Silvio iniziava a picchiare, prima con una cintura, poi prendendola per il collo e poi a calci. A nulla è servito dirgli che era invalida civile. “Pensavo di mori- re”, dice la donna mentre tutti intorno restavano immobili. Un comportamento “sc oncertante”, per il gip, e che uno dei presenti non nega: “Avevamo paura di ritorsioni per noi e le nostre famiglie”.
MA DOPO aver picchiato la donna, la violenza non finisce. Perché Alfredo Di Silvio torna nel locale, questa volta accompagnato dal fratello Vincenzo. “Non ti scordare che questa è zona nostra”, ribadiscono al barista, reo di non averli serviti subito. E dopo le botte e il danneggiamento del locale, la minaccia di “‘chiudere’ il bar”. “Mi dicevano che quella era la loro zona – denuncia Marian – e comandavano loro. Dovevo sottostare alla loro volontà”.
Ma la vicenda non si chiude il 1° aprile. Perché al bar si presenta Enrico Di Silvio, il non- no, il “capo famiglia”, che il gip definisce “persona pericolosa e pluripregiudicata”. Al barista prima dice che vuole “risarcire i danni fatti dai nipoti”, poi, di fronte a un diniego, intima: “Allora volete la guerra”. E da quel momento, per il gip, inizia “un assedio”. “D op o l’aggressione – racconta la moglie del barista – questi giovani si sono soffermati davanti al bar, con l’intento di intimorire. (...). Abbiamo pensato di chiudere come avevamo fatto il secondo giorno dopo l’accaduto”. Dopo la loro denuncia sono partite le indagini del procuratore aggiunto Michele Prestipino e del sostituto Giuseppe Musarò che, dopo solo due settimane, il 18 aprile, hanno chiesto l’arresto. Eseguito ieri. “Sono più tranquillo? – dice Marian al Fatto – Mica tanto. Ho un po’ di timore. Chi ha fatto quel casino deve pagare, a noi non interessa altro, non vogliamo essere gli eroi”.
Intanto le sue abitudini sono mutate: “Parcheggiamo la macchina lontano da casa – dice Marian alla polizia – e stiamo attenti nel guardarci intorno, per paura di imboscate”.
COSÌ È CAMBIATA la vita di chi non accetta i domini criminali, la violenza. La stessa che, a distanza di oltre un mese, c’è stata anche ieri notte, quando la Squadra mobile è andata ad arrestare i quattro. Durante l’operazione, alcune donne si sono scagliate contro la telecamera della troupe della trasmissione Rai Nemo. L’operatore è stato strattonato. Quelle immagini sono al vaglio degli inquirenti. I guai per le famiglie Casamonica- Di Silvio sembrano non essere finiti.
IL BARISTA PICCHIATO
Ora che sono in carcere non sono più tranquillo. Ho un po’ di timore, ma loro devono pagare