Vecchie e nuove cosche, dalle borgate al centro
La famiglia Sinti lavorava con i boss della Magliana e non ha mai mollato la sua zona
Una
volta le chiamavano batterie, gruppi di p ischellinati e cresciuti nelle periferie sterminate e desolate di Roma, strade polverose negli anni 70, strisce di asfalto distrutte oggi. Gruppi locali, bande che crescono e si spartiscono il territorio. Baretti delle borgate, dove ti incontri, ti allei, prepari “gli impicci”. E su questo terreno – tradizionale, raccontato fin dagli anni 50 da Pier Paolo Pasolini – sono arrivate le mafie che contano, abili nel riciclare, potenti nel contrattare il miglior prezzo per eroina e cocaina, con i numeri di telefono giusti della politica che conta in tasca. Clan che hanno bisogno della manovalanza, di chi controlla la strada.
È La Romanina la roccaforte del clan Sinti dei Casamonica. La casa più bella era la residenza di Nando, detto J.R.. Entrando nel dedalo di vie cresciute senza mai un piano regolatore ci sono le villette arancione della famiglia allargata dei Casamonica: i Di Silvio, gli Spada, gli Spinelli. I camini sempre accesi – raccontano le indagini di qualche anno fa – per far sparire la droga quando arrivano polizia o carabinieri. E poi la fitta rete delle telecamere di sorveglianza, i più giovani negli angoli a guardare chi passa. Il territorio è loro, in quelle vie non entri se non sei invitato.
NON SI NASCONDONO, anzi. Mostrarsi è la principale arma per chi deve controllare vie e incroci. E così quando ci sono i funerali arrivano i cavalli per trainare il carro funebre. Lo stesso show lo ha usato il pugile Domenico Spada, detto Vulcano, per la comunione del figlio. Potenza, ricchezza esibita. Una vetrina per attrarre anche quei negozianti in diffi- coltà economica, che arrivano alla Romanina, in via Barzilai, il cuore del loro impero, per chiedere soldi a strozzo. E se non pagano arrivano i pugili, come è accaduto qualche anno ad un commerciante dei Castelli romani, finito nelle mani di Vulcano. Alla fine basta il nome Casamonica, basta quell’inflessione Sinti, o il loro sguardo e tutti pagano. E ogni tanto devono ricordare chi conta: lo ha fatto Roberto Spada ad Ostia, colpendo un giornalista che faceva la domanda scomoda; lo hanno fatto i quattro Casamonica in un bar lo scorso aprile.
NON C’È MAFIAsenza controllo del territorio. A Roma, da sempre, i clan lo gestiscono in subappalto. Zona est, tra Tor Bella Monaca e Torre Maura. Eppoi San Basilio, la via Casilina che porta al quartiere della movidadel Pigneto. I gruppi locali – romani da generazioni – sanno che vuol dire gestire la strada o la piazza. Lo spaccio – business romano per eccellen- za fin dagli anni 70 – è militare, con sentinelle, vedette, batterie organizzate. Nessuna competizione, ma alleanze. Con la ‘ndrangheta, prima di tutto, vero dominus a Roma per la cocaina. I calabresi hanno capito che federarsi è la migliore strategia di penetrazione. Ed ecco le alleanze con le famiglie locali o, in epoca più recente, anche con i gruppi di albanesi, potenti e aggressivi non solo nella capitale. A San Basilio il clan dei Gallace si sono alleati da anni con la famiglia romana dei Romagnoli, presenti nella zona con bar e negozi.
C’è poi l’altra Roma, quella dei salotti, veri o da parvenu. È la capitale delle imprese, del cemento, dei negozi chic, dei ristoranti. Nelle periferie spacci, in via Veneto investi. O prendi il pizzo, fino a impossessarti dell’attività. Qui Cosa Nostra, attraverso i Rinzivillo, mandava i pizzini ai ristoratori: “Non puoi fottere i siciliani”. Vicino alla centrale piazza Fiume, o nei dintorni di Montecitorio, le ’ ndrine gestivano bar e ristoranti. Nella zona commerciale dell’A pp i o - S a n Giovanni i capitali arrivano da San Luca, attraverso i Pelle, i Nirta e i Giorgi, come spiega l’ultimo rapporto d e ll ’ Osservatorio regionale per la sicurezza e la legalità. Roma criminale non si ferma al baretto della Romanina.
Sul territorio
La droga dei calabresi venduta dai romani. E Cosa Nostra gestisce negozi e affari immobiliari