“Migranti torturati in Libia” L’Italia denunciata in Europa
Il ricorso Finiscono alla Corte dei diritti umani i respingimenti in mare affidati da Roma ai guardacoste di Tripoli che riportano tutti nei campi di detenzione
L’accusa è precisa. “C’è una responsabilità diretta del Mrcc di Roma (il centro di coordinamento dei salvataggi in mare, gestito dalla Guardia costiera italiana) e dello Stato italiano per la violazione dei diritti umani dei migranti recuperati dalla Guardia costiera libica”, scandisce Loredana Leo, avvocato dell’Asgi (Associazione studi giuridici sul l’immigrazione). La denuncia arriverà alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che già nel 2012 ha condannato l’Italia per fatti analoghi. Le accuse riguardano i trattamenti disumani, la tortura e il respingimento in violazione delle convenzioni internazionali. Sarebbero in Italia e in Europa i mandanti del “lavoro sporco” dei libici: “Gli interventi della Guardia costiera di Tripoli – spiega Leo – sono riconducibili direttamente al governo italiano”.
IL RICORSOè firmato da 17 cittadini nigeriani, protagonisti del drammatico confronto in acque internazionali del 6 novembre scorso tra la Ong Sea Watch e la motovedetta “Ras al Jadar 648” della Difesa di Tripoli. L’indagine del Centro di analisi forense dell’Univer- sità Goldsmiths di Londra è stata presentata ieri da Asgi, Violeta Moreno Lax (Global Legal Action Network), Talia Lockman- Fine ( Yale), Sara Prestianni (Arci) e Giorgia Linardi (Sea Watch). Per loro è stato “un respingimento per procura”.
Il destino dei migranti catturati dai libici in mare è noto. I centri di detenzione in Libia sono oggetto di denunce anche dell’Onu. Così, però, si viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e per ricostruire le responsabilità “si tratta di capire – spiega Violeta Moreno Lax, dello staff legale autore del ricorso – chi abbia il controllo effettivo di quei migranti respinti. Chi gestisce i salvataggi è il Mrcc di Roma”, ovvero il centro della Guardia costiera italiana che ha affidato in moltissimi casi il coordinamento alle forze di Tripoli. “Avviene grazie all’accordo Italia-Libia del febbraio 2017 – prosegue la legale – dove l’o- biettivo è previsto chiaramente, fermare i flussi di migranti”. Il coinvolgimento delle motovedette libiche è cresciuto esponenzialmente: nel 2015 solo lo 0,5% dei naufraghi erano intercettati dai libici e riportati a Tripoli; numero cresciuto fino a sfiorare il 40% la scorsa estate per un totale di 20.335 migranti “catturati” in mare nel 2017. “E statisticamente c’è una correlazione tra l’a umento degli interventi dei libici con il tasso di mortalità in mare”, ha aggiunto Charles Heller dell’Università di Londra.
IL CASO presentato al Tribunale di Strasburgo ha avuto un costo pesantissimo in termini di vite umane. “Almeno 20 persone, forse 40”, spiega il ricercatore londinese Heller. Le immagini riprese dalle telecamere della Sea Watch sono chiare: al momento dell’arrivo della nave dell’Ong la motovedetta libica era ferma e non stava salvando nessuno, mentre diverse persone, cadute in acqua dopo il parziale sgonfiamento del gommone, gridavano. Poco prima i libici, chiamati dagli italiani, avevano chiesto a Sea Watch di non intervenire. Dopo il confronto tra la nave dell’Ong e la “Ras al Jadar 648”, 47 migranti sono stati riportati in Libia. I legali ne hanno incontrati due, che hanno raccontato le torture subìte nel centro di detenzione di Tajoura. I due sono stati poi venduti a una milizia e sottoposti a elettroshock, quindi rimpatriati in Nigeria “senza una valutazione della richiesta richiesta di asilo – osserva l’avvocato Leo – visto che l’Unhcr in Libia può agire solo per otto nazionalità tra cui non c’è la Nigeria”.
Il caso
Avvocati e giuristi sostengono 17 nigeriani strappati dai militari a una Ong lo scorso 6 novembre