Il Fatto Quotidiano

Per chi suona la campana dell’Argentina

- » STEFANO FELTRI

▶“L’ARGENTINA

sta sperimenta­ndo una ripresa solida dopo la recessione dello scorso anno e, nonostante il consolidam­ento fiscale programmat­o e gli sforzi in corso per contenere l’inflazione, si prevede che la crescita si consolidi nei prossimi anni”. Così scriveva il Fondo Monetario Internazio­nale a dicembre 2017 nel rapporto annuale (noto come “articolo IV”) sul Paese che ieri, nel pieno di una crisi valutaria, ha cercato di arginare la caduta del peso con una richiesta di aiuto proprio al Fmi: una linea di credito da 30 miliardi. L’inflazione resta sopra il 25% invece che avvicinars­i al 16,3 previsto per quest’anno dal Fmi, da gennaio il peso ha perso oltre il 20% del valore nel cambio con il dollaro e la Banca centrale ha tentato una mossa disperata per sostenere la valuta, cioè alzare i tassi di interesse dal 28 al 40%. Difficile che simili misure non abbiano alcun effetto sulla crescita, come stimava con un eccesso di ottimismo il Fondo monetario. Si può discutere se il governo di Mauricio Macri abbia sbagliato ad attuare riforme tanto applaudite dalle istituzion­i internazio­nali come il Fmi (tra l’altro ha cancellato i sussidi per le bollette dell’energia, che sono triplicate) o se nell’instabilit­à del peso si debbano vedere moniti a chi sogna un ritorno alla lira in Italia. C’è però una questione molto più urgente: il detonatore della crisi valutaria in Argentina sembra essere stato l’aumento dei tassi di interesse del dollaro – cui il peso è di fatto agganciato – deciso dalla Federal Reserve americana. I ricercator­i di tutte le banche segnalano da settimane tensione sui mercati emergenti, dal lato valutario, l’indicatore di Unicredit che misura la salute del commercio globale è ai minimi da due anni.

Se in Argentina stiamo vedendo gli effetti della fine delle misure straordina­rie adottate dai banchieri centrali dopo la crisi del 2008, allora c’è da tremare, perché dopo la Fed, nel 2019 anche la Bce inizierà a tornare alla normalità.

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