Altro che liberismo, serve una rivoluzione “liberale”
SERVE una forte spinta pubblica all’innovazione tecnologica. Ma il grosso dello sforzo lo deve fare il privato, finora poco propenso a innovare. Le posizioni di rendita, sia pubbliche che private, sono il vero ostacolo alla crescita economica e al calo delle disuguaglianze a Rivoluzione industriale, che è stata strettamente correlata all’apertura dei mercati e all’avvento di regimi democratici, in Italia è arrivata non solo in ritardo, ma anche con scarsi contenuti di innovazione “autoctona”: anche il nostro decollo industriale avvenuto dopo la seconda guerra mondiale si è basato sulla produzione di massa di prodotti sviluppati altrove (automobili, elettrodomestici ecc.).
LA STRUTTURA in d u st r i al e che ne è seguita si è basata sul lavoro a basso costo per prodotti “maturi”, e gli imprenditori italiani, non essendo capaci di innovare, hanno anche puntato molto sugli aiuti pubblici e le svalutazioni finché hanno potuto, se si fa eccezione per alcune nicchie iper-specializzate ma a basso contenuto tecnologico. Una struttura la cui fragilità è apparsa molto evidente dopo l’esplosione del debito, l’entrata nell’euro, la crisi del 2008 e la concorrenza di altre aree con lavoro a costo ancora più basso (con effetti miracolosi per quei lavoratori).
Le dimensioni dello Stato sociale sono cresciute in proporzione alla rapida crescita del reddito del Dopoguerra, ma quando questa si è arrestata, ovviamente le risorse che avevano generato quello Stato sociale non ne hanno consentito una crescita ulteriore. I bisogni invece sono cresciuti, per far fronte a problemi nuovi: la crisi occupazionale stessa, il basso tasso di attività della popolazione, e il suo invecchiamento. I nodi sono venuti al pettine.
Altro che struttura neoliberistica trionfante, come alcuni sostengono senza alcun dato di conforto, alle loro tesi tutte ideologiche: la pressione fiscale è al 45% del Pil, tra le più alte del mondo, e lo Stato continua a proteggere tutti, come ai tempi della rapida crescita del reddito: sanità, scuola, trasporti, pensioni, imprese pubbliche (queste le uniche con alti salari) e private, agricoltura, pesca, rendita fondiaria con normative compiacenti (questa forma di rendita ama molto i vincoli, da cui dipende, al contrario di una assurda vulgata italiana). Accanto ad alcuni effetti positivi di questa perdurante protezione, sono da sottolineare anche quelli disincentivanti, per i lavoratori protetti e le imprese poco capaci di innovare.
L’altissimo debito pubblico, frutto avvelenato di questa dissimmetria di crescita, ci impedisce ovviamente di attuare politiche keynesiane
Ricette sbagliate Come il protezionismo anche il taglio delle tasse alle imprese non risolverebbe lo stallo
di lungo respiro, e in caso di choc esterni (cfr. le politiche di Trump, le minacce di guerra, ecc.), rischia di rendere necessari interventi drastici di breve periodo, che hanno generalmente effetti devastanti proprio sulle categorie più deboli. E come non vedere che l’onda protezionistica nel mondo arriva soprattutto da una destra bellicosa ed egoi-