Comuni “pazzi” in guerra contro bangla&movida
AFFARI D’ORO Le ordinanze delle amministrazioni per fermare il degrado urbano e tutelare il made in Italy tra i negozi del centro storico, alterano i rapporti di concorrenza tra i gestori stranieri e quelli autoctoni
Stop a led di cattivo gusto, merci accatastate, serrande vecchie e imbrattate. A Roma il Campidoglio, lo scorso 17 aprile, ha approvato il nuovo Regolamento Unesco, contro il degrado urbano, per l’esercizio delle attività commerciali e artigianali. All’ombra del Colosseo, e in misura meno severa fino ai confini del centro storico, per i prossimi tre anni, sono vietati phone center, sexy shop e sale scommesse. Un provvedimento che dovrebbe mettere fine anche a minimarket, kebabari e negozi suk, contro i quali già da qualche anno, è iniziata una crociata nazionale, a tutela delle tipicità locali e del made in Italy.
INSOMMA, nel cuore delle città tutto deve parlare italiano. E c’è chi ce l’ha fatta. A Firenze, il sindaco del Dario Nardella (Pd) – che ha fatto da apripista, approvando il primo Regolamento Unesco in Italia, nel gennaio 2016 – ha perfino imposto ai negozi in pieno centro di vendere almeno per il 70% prodotti di filiera corta, tipicamente toscani. Un’iniziativa che ricorda quella del sindaco leghista di Padova, Massimo Bitonci, che sempre nel 2016 emanò un’ordinanza anti kebab, imponendo ai commercianti di esporre in vendita prodotti per il 60% di provenienza veneta. Misura contro cui si è scagliato il neosindaco Sergio Giordani (Pd). Il Regolamento fiorentino ha suscitato forti polemiche tra bengalesi e pachistani. La legge, infatti, impone ai negozi con meno di 40 mq che somministrano alcol, sprovvisti di servizi igienici per i clienti, di mettersi in regola entro due anni, pena la sospensione dell’attività o una multa. Insoddisfazione che regna anche tra i colossi del commercio. Federdistribuzione ( l’associazione dei grandi supermercati) ha accusato il Comune di violare le norme sulla liberalizzazione e di avere poteri troppo ampi in materia di commercio. Lo stesso ha fatto McDonald’s, a cui Nardella ha negato l’apertura in piazza Duomo. Tutti hanno fatto ricorso al Tar ma Palazzo Vecchio ha sempre vinto.
Il “modello Nardella” è attecchito in tutta la Toscana. A Prato, già nel 2009, con il sindaco Roberto Cenni (Pdl), si impose in centro il divieto all’apertura di nuovi kebabari. La giunta Biffoni del Pd, at- tualmente in carica, ha emanato un regolamento sul commercio con cui si vietano nuovi market etnici nel centro cittadino e si dà risalto alle eccellenze locali. Anche Pisa, con una delibera in vigore fino al 25 maggio, proibisce l’apertura di nuovi minimarket, in centro e in stazione, per limitare la vendita di bevande alcoliche.
IL BLOCCO delle amministrazioni cittadine alla nascita di nuovi esercizi commerciali è un fatto recente. Dal decreto Bersani del 1998, aprire un’attività è diventato semplicissimo, e con il Salva Italia nel 2012 (governo Monti), che ha liberalizzato orari e giorni, è possibile lavorare anche no stop. I temi della sicurezza e della tu- tela del decoro pubblico hanno cambiato completamente i giochi nel settore. Da un lato, l’approvazione nel 2016 del decreto Scia 2 “salva centri storici”, voluto dal ministro Franceschini, ha dato pieni poteri ai sindaci di decidere in merito agli esercizi commerciali nei centri Unesco delle città. Dall’altro, la legge Minniti-Orlando, in nome della sicurezza urbana, ha autorizzato l’espulsione delle marginalità sociali dalle città e la riqualificazione dei luoghi degradati. Norme che pongono un freno proprio laddove il centrosinistra lo aveva tolto con Bersani, da un lato strizzando l’occhio all’imprenditoria made in Italy, dall’altro intervenendo nei rapporti concorrenziali tra minimarket e locali autoctoni. L’arbitro è il primo cittadino, a cui anche la Minniti-Orlando affida di fatto super poteri. Nella legge, la parola degrado è associata pure alla somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Da qui, la limitazione della vendita di liquori e birre ai minimarket – rei, secondo le amministrazioni, dell’abuso di alcol da parte dei giovani – presente in quasi tutte le ordinanze sul decoro. ABologna, il sindaco Virginio Merola (Pd) – famoso per aver emesso nel 2016 un provvedimento che imponeva agli alimentari di non refrigerare gli alcolici – ha approvato, solo pochi giorni fa, un regolamento per contrastare il degrado urbano, nell’area di piazza San Francesco, via del Borghetto e via de’ Marchi, dove fino al 30 settembre, sarà vietato consumare alcol dalle ore 20 alle 7 del giorno dopo.
I DISORDINI di piazza San Carlo, il 3 giugno 2017, durante la proiezione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, hanno portato all’ordinanza anti-movida emessa dalla sindaca di Torino Chiara Appendino (M5s), con cui si vieta la vendita da asporto di liquori, birre e distillati dalle 21 alle 6 nelle zone più frequentate: Vanchiglia, piazza Vittorio, San Salvario. Il divieto non riguarda i locali, dove la somministrazione delle bevande nei dehor continua fino alle 3. I più danneggiati restano quindi i minimarket, colpiti nelle loro peculiarità: orari no stop e bibite economiche. Ma il regolamento piace sia ai sostenitori del decoro che ai gestori di locali, che non dovranno più concorrere con 1,20 euro di birra “bangla”.
DECORO E NAZIONALISMO ALIMENTARE A Torino i locali possono somministrare drink alcolici nei dehor fino alle 3 di notte A Firenze niente kebab