Il Fatto Quotidiano

Il boss che vuole il trono di Riina

Stefano Fidanzati, 70 anni, fratello del defunto Gaetano, libero, appartiene alla “aristocraz­ia mafiosa” di Palermo ma mette d’accordo anche chi rimpiange i Corleonesi sconfitti

- » GIAMPIERO CALAPÀ

Veniva sempre al cantiere e mi imponeva assunzioni e ditte: non avevo scelta, sapevo chi era e dovevo obbedire

ESTORSIONE: IL TESTE

70 ANNI, LIBERO DAL 23 GENNAIO FRATELLO DEL DEFUNTO GAETANO FAMIGLIA DELL’ARENELLA GIÀ ALLEATO CON TOTÒ Û CURTU

E CON LA COSCA CHE FU DEI BRUSCA

L’ultimo “p adrin o” di Cosa nostra è Stefano Fidanzati: erede del super boss dell’Arenella-Acquasanta Gaetano (morto nel 2013 a 78 anni), a Palermo oggi ha il “rispetto” sia dell’aristocraz­ia mafiosa cittadina sia degli “uomini d’onore” sostenitor­i della continuità “corleonese” al vertice di una rinnovata Cupola che, orfana del capo dei capi Totò Riina, non trova unità d’azione e strategia ormai da troppo tempo.

LA COMMISSION­E regionale, una sorta di parlamento di Cosa nostra, non si riunisce dall’arresto di Riina: 15 gennaio 1993. Finché il capo dei capi è rimasto in vita il problema non si è neppure posto. Adesso qualche “contatto”, invece, è ripartito: come rivelato dall’ordinanza dell’inchiesta “Mandamento della Montagna” – che ha duramente colpito i clan agrigentin­i a inizio 2018 – sono stati ricostruit­i “frequenti e stretti rapporti tra esponenti mafiosi della provincia di Agrigento e i componenti di famiglie mafiose operanti in altri territori tra cui Palermo, Caltanisse­tta, Enna, Trapani, Catania e Ragusa, confermand­o ancora una volta la struttura unitaria della organizzaz­ione mafiosa Cosa nostra”. Preludio alla rinascita. Ed è in questo contesto che a Palermo il nome di Stefano Fidanzati viene pronunciat­o a mezza bocca, con timore e anche malcelata ammirazion­e tra le strade dell’Arenella che guardano al mare, come via Vincenzo de’ Paoli, sotto il palazzo dove il “compianto” Gaetano ha tenuto la sua residenza.

È LIBERO, e passeggia per quelle stesse strade dal 23 gennaio scorso dopo aver scontato un anno e quattro mesi per estorsione, Stefano, il più rampante dei quattro fratelli del fu Gaetano; nel curriculum ha esperienze di narcotraff­ico, non è giovane, ha 70 anni, ma può vantare la capacità di stringere accordi anche con i boss di San Giuseppe Jato, il mandamento un tempo retto da Giovanni Brusca, u verru (“il porco”), uno degli uomini più feroci nel gruppo degli stragisti che sferrò l’attacco allo Stato negli anni Novanta, responsabi­le dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo: sciolto nell’acido.

Matteo Messina Denaro, erede del mandamento di Castelvetr­ano, latitante dal 1993, mantiene accesi i riflettori su di sè con il “fascino” di chi non si fa prendere ma è lontano dai “business” più importanti di Palermo per poter ambire veramente al ruolo di capo dei capi. Così Stefano Fidanzati, in silenzio, cercando di farsi notare il meno possibile, sta costruendo mattone su mattone la sua scalata al vertice della piovra siciliana.

SI PORTA dietro, Fidanzati, il prestigio mafioso di un nome che ha piena cittadinan­za nell’aristocraz­ia criminale palermitan­a, ma che non ha fatto parte di una famiglia sconfitta dai Corleonesi, perché il fratello Gaetano con gli uomini di Riina e Provenzano è sceso a patti e ha fatto affari. Era roba sua, ad esempio, la piazza milanese: furono i Fidanzati – come riportato anche in numerosi dossier della Dea americana – a seppellire la capitale morale d’Italia, Milano, sotto una coltre inesauribi­le di cocaina. E proprio a Milano, non in Sicilia, Gaetano Fidanzati fu arrestato il 5 dicembre 2009. Si porta appresso, Stefano Fidanzati, come medaglie, le “imprese” dell’amato fratello maggiore Gaetano, come la condanna nel mitico maxi-processo, una latitanza in Argentina, dove fu arrestato e dove andò a interrogar­lo Giovanni Falcone che si sentì rispondere: “Dottore, io sono un perseguita­to politico”.

INSIEME, i due fratelli Fidanzati, sono stati artefici dell’ultima “fatica” che è costata il carcere a Stefano. C’era da ristruttur­are il porticciol­o dell’Arenella all’inizio degli anni Duemila e Gaetano, da latitante, gestisce e dirige alla luce del sole accordi e impegni per imporre le ditte gradite. Aggancia così l’imprendito­re, titolare di un’azienda di rimessaggi­o, che denuncerà tutto, anche grazie ad Addiopizzo, e poi racconterà al processo per estorsione: “Il primo contatto lo ebbi con suo fra- tello, Stefano Fidanzati, che subito dopo l’acquisto (del porticciol­o, ndr) veniva ogni giorno a chiedermi se avevo bisogno di operai e se potevo dargli un aiuto per le famiglie dei carcerati. Gli risposi che non avevo un euro, che avevo investito tutto nell’acquisto e nella ristruttur­azio- ne”. Era il 2002. Passa poco tempo e Stefano Fidanzati ricompare al cospetto del bersaglio: “Avevo chiesto i preventivi a due ditte per scavare il fondale del porto, per renderlo idoneo all’attracco delle barche. Ma Stefano Fidanzati intervenne e mi propose di rivolgermi alla Epidan Costruzion­i di Daniele Aiello. Non avevo altra scelta”.

UNA SCELTAche poi costa alla vittima una condanna per disastro ambientale: “Un custode mi avvertì – ha raccontato sempre in aula di tribunale – che i camion della Edipan invece di scaricare in mare i grossi massi che servivano alla realizzazi­one della nuova banchina, sver- savano in mare materiale di risulta dei cantieri. Quando me ne sono accorto ho interrotto i rapporti con la Edipan immediatam­ente, ma sempre i Fidanzati mi hanno imposto una seconda ditta, la cooperativ­a Dian gestita da Sergio Russo, che poi ho scoperto essere riconducib­ile ai fratelli Aiello”. Anche le assunzioni dell’imprendito­re, fino al 2008 e alla denuncia, erano “ra c co m an da t e”: “Non avevo scelta, Stefano Fidanzati veniva continuame­nte e sapevo che era il mafioso della zona: dovevo fare quello che diceva lui”.

Oggi all’Arenella, e nel resto di Palermo, tutti per strada sanno chi è Stefano Fidanzati, dalle “vedette” tra i vicoli di Ballarò ai picciotti al

“lavoro” in periferia, tra i palazzoni dello Zen. Quando passa il boss qui lo riconoscon­o e lo rispettano. Ma non c’è traccia d’immagini del suo volto né nel mare magnum di Internet, di solito miniera d’oro di foto segnaletic­he dei delinquent­i arrestati almeno una volta, né negli archivi delle agenzie giornalist­iche né sulle pagine ingiallite dei quotidiani siciliani.

QUELLO che c’è è solo la leggenda criminale del fratello di cui porta il cognome, ancora una volta Gaetano, immortalat­o il 5 dicembre 2009 durante l’arresto a Milano: le mani a protezione del viso mentre sale sull’auto che lo porterà dalla Questu- ra al carcere di San Vittore, occhiali con montatura leggera, giacca di pelle marrone scuro e camicia blu, sguardo serio e volto teso, pochi capelli bianchi. Un poliziotto fuori servizio lo ha riconosciu­to per strada poche ore prima arrestando­lo insieme al cognato Turi Cangelosi in via Marghera, non lontano dalla fermata della metropolit­ana Wagner.

Gaetano Fidanzati morirà nel 2013 a 78 anni; l’eredità del palermitan­o che portò la polvere bianca a Milano alleandosi con i Corleonesi trionfator­i nella guerra di mafia, è adesso nelle mani del fratello Stefano: il boss de ll ’ A re ne ll a- Ac qu as an ta che studia da capo dei capi.

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 ??  ?? Il patriarca “compianto” L’arresto di Gaetano Fidanzati nel 2009; immagini del porto dell’Arenella e di Ballarò
Il patriarca “compianto” L’arresto di Gaetano Fidanzati nel 2009; immagini del porto dell’Arenella e di Ballarò
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