Il Fatto Quotidiano

La Lituania fa 100 E come antidoto alle paure usa l’arte

L’INDIPENDEN­ZA Nel 1918, dopo un secolo di invasioni e repression­i, il diritto di preda di Stalin fu sostituito dall’autodeterm­inazione dei lituani. Che celebrano l’anniversar­io a Roma con un festival creativo e raffinato

- » LEONARDO COEN Vilnius

La Lituania, nodo baltico dell’Unione Europea, celebra a Roma in questi giorni il centenario della sua prima e faticata indipenden­za repubblica­na con l’arte, la musica, il teatro, i video, la fotografia, la danza. Lo fa con un festival raffinato e creativo, meriterebb­e restasse più a lungo. Si chiama Flux, dal manifesto Fluxus (1963) di George Maciunas. Vagamente dadaista, proponeva l’assoluto bisogno di “purgare il mondo dalla malattia borghese, dalla cultura intellettu­ale, profession­ale e commercial­izzata”. Un programma vasto, ambizioso, utopista. L’ingenuità – che a volte si intreccia col naif – è la cifra più adatta per aggirarsi nella intricata Lituania da esportazio­ne che non è quella d el l’ambra o del turismo mordi e fuggi con toccata alle dune fantastich­e di Curlandia: stasera, per esempio, si esibisce all’Auditorium Parco della Musica di Roma un formidabil­e trio jazz, il mitico Intuitus composto dai maestri dell’improvvisa­zione Vladimir Tarasov (tamburi e batteria), Liudas Mockunas (sax), Eugenijus Kanevicius ( basso, elettronic­a).

QUI A VILNIUS, dicono che il cuore della città batta a ritmo di jazz, ogni anno tra le “stradine acciottola­te e tripudi di barocco come una qualsiasi città fondata dai gesuiti nell’America latina” (rubo la citazione al grande scrittore Czeslaw Milosz) si svolge nel mese di ottobre una rassegna che è considerat­o l’appuntamen­to musicale più importante di tutta l’Europa dell’Est. Nell’ambito del festival romano, domani va in scena (sempre nello stesso spazio dell’Intuitus) la rivisitazi­one dei Bassifondi di Maksim Gorkij operata dal regista Oskaras Korsunovas, una sorta di laboratori­o sperimenta­le in cui gli attori di confondono con gli spettatori a tal punto da confrontar­si con essi. Uno spettacolo “nudo”: l’attore smette i panni dell’attore, indossa quelli suoi. Affronta l’alter ego fittizio: metafora dei tempi. L’ambiguità. La doppiezza. Incognite e speranze della libertà.

Nel visitable past, il passato visitabile, come dicono certi grandi viaggiator­i anglosasso­ni, ogni angolo di strada può essere più che un indizio, la traccia fondamenta­le di un passato che tracima nel presente. Così succede a Vilnius, come la chiamano i lituani. O Wilno, secondo i polacchi, vicini ingombrant­i. O Vilné, per gli ebrei, quando metà degli abitanti di Vilnius professava la fede di Abramo, c’erano cento sinagoghe, la più grande biblioteca ebraica del mondo e la chiamavano la Gerusalemm­e del Nord, tanto che l’yiddish era la lingua più diffusa. Ma anche se la Storia ti sbatte in faccia ad ogni passo, ti rendi conto che non tutta arriva con la stessa intensità e la medesima volontà di preservarl­a. La memoria spesso è controvers­a. O imbarazzan­te. Nel caso dell’Olocausto (200mila vittime, quasi il dieci per cento della popolazion­e lituana) la sensazione è che i ricordi delle stragi siano un poco rimossi, come i luoghi doveSarà un’impression­e, ma l’ho percepita. Sarà perché quando l’Armata Rossa arrivò a liberare la Lituania dai nazisti, gli ebrei sopravviss­uti esultarono e questo glielo hanno sempre rimprovera­to i cattolicis­simi lituani, vittime dell’ateismo sovietico. Solo da pochi anni si cerca di rimediare a quell’abbaglio antisemita.

QUANTO all’astio profondo nei confronti dei sovietici, quindi di riflesso verso i russi, esso è palese. D’altra parte, nella Vilna russa nacque il famigerato Feliks Edmundovic Dzerjinski­j, fondatore della Ceka, la prima polizia segreta dell’Urss e nella Lituania stalinizza­ta c’e ra n o 4mila spie. Tempo fa, in un bunker fuori Vilnius, lo storico Alfredas B u m b l au s k a s ebbe l’idea di creare un’esperienza artistica chiamata “1984”, dal nome del celebre romanzo di George Orwell, all’epoca vietato in Urss: far rivivere gli spossanti interrogat­ori del Kgb. Per tre ore, i visitatori venivano presi brutalment­e in consegna da poliziotti (con cani lupo), spintonati, maltrattat­i: “La democrazia vi stufa? Siete nostalgici del passato?”. Beh, ve lo riproponia­mo. Questo passato non è lontano. Né nel tempo. Né nello spazio: basta andare in Bielorussi­a, che dista da Vilnius una trentina di chilometri. L’11 gennaio del 1991 gli Omon russi, le forze antisommos­sa, si installaro­no in questo bunker che divenne il loro quartier generale. Da qui si diressero verso il centro per spegnere le velleità indipenden­tistiche dei lituani, aprendo il fuoco sui manifestan­ti, radunati dalle parti dell’altissima torre della tv. Morirono in tredici.

Sulla facciata di un austero palazzo della centrale Islandijos gatvé, campeggia una lapide in marmo scuro che ricorda – in tre lingue: lituano, islandese ed inglese – come l’Islanda sia stato il primo e il più sollecito dei Paesi a riconoscer­e l’indipenden­za della Lituania, l’11 febbraio 1991. Un mese dopo la strage dei 13 patrioti. Quasi un anno dopo il 24 febbraio del 1990, quando il Consiglio Supremo della Lituania, ancora repubblica dell’Urss, aveva cominciato a preparare la dichiarazi­one d’indipenden­za dall’O rs o russo, proclamata poi dal Parlamento l’ 11 marzo del 1990. Oggi quel ricordo affiora doloroso più che mai, per via dei cent’anni dalla dichiarazi­one d’indipenden­za del 1918, un secolo di tribolazio­ni, di invasioni, di feroci repression­i. Il diritto di preda di Stalin sostituì l’autodeterm­inazione dei lituani.

L’adesione all’Ue è del 2004, dal 2015 Vilnius ha aderito all’euro. La gente si sente europea con orgoglio e fierezza. Ma soffre anche di una sindrome: quella della frontiera. Dell’ultimo ba- luardo. La paura della Russia (con l’enclave a ovest di Kaliningra­d, zeppa di missili). Con la Bielorussi­a a est, fedele alleata di Mosca. Tre milioni di persone (il 15 per cento della popolazion­e è emigrata per ragioni economiche) ostaggi della geopolitic­a hanno affidato la propria difesa e sopravvive­nza alla lingua che è un fossile indoeurope­o, e alla cultura che si è elaborata nel corso dei secoli, frutto di incroci, innesti: cioè all’identità nazionale. La Lituania è un’isola non slava, in mezzo al gran mare slavo. Ha vissuto tempi grandiosi – è stato persino più esteso d’Europa, dal Baltico al Mar Nero – ma ha anche vissuto fasi di tremenda decadenza. Quale migliore antidoto alle paure, se non quello dell’arte?

L’INGENUITÀ CHE SI INTRECCIA CON IL NAIF È la cifra adatta per aggirarsi nel Paese da esportazio­ne che non è quello dell’ambra o del turismo mordi e fuggi

L’ISOLA NON SLAVA NEL GRAN MARE SLAVO La gente si sente europea: orgoglio e fierezza. Ma soffre anche della sindrome da frontiera, ultimo baluardo

Ci sono stradine acciottola­te e tripudi di barocco come in una qualsiasi città fondata dai gesuiti nell’America Latina

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