Il Fatto Quotidiano

Pd: strilli, fischi, risse e il solito nulla di fatto

La giornata L’ Assemblea approva un documento di mediazione che rinvia tutto di un mese: 221 i contrari Martina resta reggente, Renzi se ne va senza parlare

- » WANDA MARRA

Non decidere: alla fine di una giornata convulsa e sbrindella­ta, l’Assemblea del Pd raggiunge quest’ obiettivo. Traduzione per i non appassiona­ti di Pd: dopo i ballottagg­i delle amministra­tive ci sarà un’altra Assemblea che dovrebbe far partire il congresso in autunno o forse all’inizio del 2019 (con quale guida del frattempo? chissà); Martina rimane reggente ( cioè un mezzo- segretario); Renzi conferma le “dimissioni irrevocabi­li”, ma nel vuoto di potere formale resta segretario ombra. L’Assemblea di ieri certifica un dato, anzi due. Uno: nessuno sa chi ha la maggioranz­a. Due: il partito - a forza di non decidere - è imploso tra ribellioni, rabbia, sfoghi.

ORE 11 E 15. L’Assemblea sarebbe convocata alle 10 e 30, ma la trattativa è in corso. Girano due documenti: uno dei renziani, che chiedono il congresso in autunno, con il partito gestito da Matteo Orfini. L’altro che vuole eleggere Martina segretario fino al congresso, entro l’anno. All’entrata dell’hotel Ergife si materializ­za Simona Malpezzi, senatrice “premiata” da Renzi con ben 6 pluricandi­dature, trolley rosso e tacchi a spillo. Sepolta dalle telecamere.

ORE 11 E 50. Le note dell’Inno nazionale aprono la riunione. Gentiloni, Minniti, Orlando, Martina, Franceschi­ni, Boschi cantano stralunati. Le telecamere a circuito chiuso inquadrano Renzi sui versi “Siam pronti alla morte”.

ORE 12. Orfini illustra un documento, sul quale c’è l’accordo dei big per modificare l’ordine del giorno. Non parlare del segretario, ma della situazione politica. La platea fischia. “Anche basta”, dice lui, in versione capoclasse: 397 sì, 221 no, 6 astenuti. I big alzano le deleghe, tra i no i seguaci di Andrea Orlando.

ORE 12 E 15. Caccia al ribelle. Chi ha votato no, contravven­endo alle indicazion­i di tutto il gruppo dirigente? “Sono state le anime calde delle varie tifoserie, visto che l’accordo è arrivato tardi”, dice un alto dirigente dem. La giornata porterà chiarezza: il “no” è stato un afflato spontaneo della platea, davanti all’ennesima non decisione, riconducib­ile a tutte le componenti. Con il lasciar fare dei big, tanto per continuare la guerra.

ORE 12 E 30. Gruppi di delegati furibondi iniziano a defluire. “Che ci hanno chiamato a fare?”, la domanda. “Con un voto come questo, che dice no a un documento della presidenza, è morta una classe dirigente”, commenta Katia Tarasconi, consiglier­a Pd in Emilia Romagna. Nel frattempo, Martina fa l’intervento introdutti­vo. “Rilanciare un centrosini­stra nuovo, alternativ­o a M5S, Lega e a FI”. Platea distratta. “Se tocca a me, tocca a me”, rivendica. Con ovazione. “Si è portato la claque. Hanno convocato gente apposta”, commentano i delegati tra di loro.

ORE 13 E 45. Renzi si fa qualche s elfi e es enevas enza aver neanche sfiorato il palco: altro che relazione per spiegare la sconfitta. “Se parlo sbaglio, se non parlo sbaglio”, si lamenta coi suoi. Ma poi: “Ho stravinto”. La conta l’ha evitata, a che serve questa vittoria si vedrà. Prima di lui era scivolato via Minniti. Poi se ne va Gentiloni. Franceschi­ni insiste per votare la relazione di Martina. “L’accordo non era questo”, i renziani iniziano ad andarsene.

0RE 14 E 15. I renziani si attribuisc­ono il 58% dell’Assemblea, Franceschi­ni & C. si annettono i voti negativi al documento di mediazione e si vedono maggioranz­a.

ORE 14 E 30. L’intervento di Roberto Giachetti segna un “rompete le righe” psicologic o . “Qu an do sento Orlando che dice ‘abbiamo sbagliato a non approvare la legge sull’ordinament­o penitenzia­rio’, mi viene da chiedere abbiamo chi? Tu eri il Guardasigi­lli e Gentiloni il premier”, dice. Fischi, urli, boati. Gente incredula in sala. Orlando replica: “La riforma dell’ordinament­o penale l’avete tenuta ferma un anno perché c’era la campagna per il referendum. Ecco, ora l’ho detto”. Intanto Cuperlo delinea le due strategie per due Pd: “Ricostruir­e nella società un’al- leanza”, oppure “creare una union sacrée delle forze europeiste alla Macron”.

ORE 15 E 50. Marcucci dà il via libera al voto per Martina dei renziani rimasti. Retropensi­ero: sempre un semi reggente resta. Risultato: 294 a favore, 8 astenuti.

ORE 16.00. La delegata di Tor Bella Monaca, Pina, lancia la tessera verso la presidenza e incarna il pensiero di molti: “Al congresso nun me chiamate più”.

16 E 20. Strategie. Defilato, in un angolo, c’è Nicola Zingaretti. Lo aspettano tutti come candidato per il futuro congresso. Anche Gentiloni (che non parla con Renzi da due mesi). Lo stesso ex premier s’immagina di portargli il suo pacchetto di voti. Extrema ratio. Ma è solo questione di tempo: uno dei due Pd resterà e uno uscirà. Ammesso che resti qualcosa.

Platea esausta

I delegati furibondi e increduli: “Ma che ci avete chiamato a fare?”

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Da sinistra Orfini, Martina, Marcucci e Delrio
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Umberto Pizzi Una giornata triste Scene di non brillante vita democratic­a durante la Direzione di ieri
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