Il Fatto Quotidiano

Ecco perché Graviano parla di B. alla figlia di Borsellino

MESSAGGIO IN CODICE Il boss arrestato nel 1994 sapeva di essere intercetta­to

- » MARCO LILLO

■Fiammetta, che nel luglio del 1992, quando il padre Paolo fu fatto saltare in aria da un commando mafioso in via D’Amelio, aveva 19 anni, incontra l’uomo accusato dell’attentato. E lui, nel raccontare la bella vita in latitanza tra il 1993 e il 1994, le parla di Silvio Berlusconi amico di un suo “cugino”

Giuseppe Graviano ha citato Silvio Berlusconi nel suo colloquio con Fiammetta Borsellino, mentre parlava del periodo della sua latitanza a Milano nel ‘93 insieme al fratello Filippo. Il boss, condannato all’ergastolo proprio con il fratello Filippo per le stragi del 1992 e 1993, ha fatto questa affermazio­ne (tutta da interpreta­re e da riscontrar­e) nel corso del colloquio straordina­rio nel carcere di Terni, avvenuto con la figlia minore del magistrato ucciso dal suo gruppo di fuoco nel luglio 1992. Fiammetta ha incontrato nello stesso giorno anche Filippo nel carcere di L’Aquila ma il fratello maggiore non ha fatto alcun cenno a Berlusconi e ha avuto un atteggiame­nto meno spavaldo e ciarliero.

Le registrazi­oni dei due colloqui sono state immediatam­ente trasmesse in gran segreto a tutte le procure che indagano sulle stragi del 1992, 1993 e 1994 e sulla Trattativa Stato-mafia per una valutazion­e della rilevanza soprattutt­o delle parole di Giuseppe. Il boss è furbo, dice e non dice. Dopo aver detto che in quel periodo a Milano e nel nord Italia era latitante ma vedeva molte persone rispettabi­li, il boss butta lì: “Lo dicono tutti che frequentav­o Berlusconi” e poi subito aggiunge: “Più che io era mio cugino che lo frequentav­a”. Il boss di Brancaccio non ha mai parlato nei processi di questi argomenti sensibili.

AL DIBATTIMEN­TO di appello a carico di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazio­ne mafiosa, nel dicembre del 2009 si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il fratello Filippo quel giorno negò i rapporti con il leader di Forza Italia facendo felice Dell’Utri che ebbe per lui parole di apprezzame­nto. Giuseppe invece se ne uscì con una formula sibillina: “Per il momento le mie condizioni di salute non mi permettono di sostenere un interrogat­orio. Quando il mio stato di salute lo permetterà sarò io stesso a informare la signoria vostra come ho detto già ai pm di Firenze”, che indagano sulle stragi del 1993.

Nel maggio del 2011, proprio al dibattimen­to di Firenze dichiarò: “Ho dei processi in corso e sulla politica mi avvalgo della facoltà di non risp ond er e”. Stessa scena al processo Trattativa nell’ottobre del 2017 nonostante in carcere pochi mesi prima avesse detto al compagno di detenzione che, se lo avessero convocato, stavolta avrebbe parlato “senza remissione”.

Il boss ora sceglie proprio il colloquio con la figlia del magistrato ucciso 26 anni fa dai suoi uomini per fare questa pesante allusione alla sua frequentaz­ione con Berlusconi.

Fiammetta ha incontrato in carcere Giuseppe e Filippo Graviano il 12 dicembre 2017 grazie a un via libera straordina­rio del ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha emanato un decreto per derogare al regime dell’isolamento del 41 bis. Entrambi i boss hanno accettato la richiesta di colloquio: Giuseppe con l’atteggiame­nto del boss che non ha niente da farsi perdonare, Filippo con modi più garbati. Condannati entrambi per le stragi del 1992 a Capaci e a via D’Amelio e per quelle del 1993 a Firenze, Roma e Palermo oltre che per l’attentato a Maurizio Costanzo e per l’omicidio di don Pino Puglisi, sempre nel 1993, non si sono mai pentiti.

FIAMMETTA IERI ha fatto pubblicare una lettera su

Re pubb lica nella quale spiega la ragione della sua richiesta di incontrare i boss con “la necessità di esprimere un dolore profondo inflitto non solo alla mia famiglia ma alla società intera”. Fiammetta ha chiesto ai due boss “un contributo di onestà” e gli ha ricordato che “soltanto contribuen­do alla ricerca della verità i figli potranno essere orgogliosi dei padri”.

Fiammetta ha cercato di portare un messaggio profondo in cella sia a Giuseppe Graviano che al fratello Filippo. A entrambi ha raccontato la storia della sua famiglia e del dolore inferto a sua madre e ai suoi fratelli Lucia e Manfredi da chi ha fatto saltare in aria suo padre sotto gli occhi di sua nonna. La reazione dei due è stata molto diversa. Giuseppe Graviano quando sente Fiammetta che parla di stragi, di un prete ucciso o di un bambino sequestrat­o e poi ucciso, si innervosis­ce.

Graviano sa che Fiammetta sta parlando delle sue condanne e le dice a brutto muso “Lei sta parlando con la persona sbagliata”. Il boss si professa innocente e dice di essere stato condannato per le accuse false dei pentiti. A Fiammetta ricorda i depistaggi, da lei tante volte denunciati, del processo Borsellino.

Lei ribatte che le colpe della giustizia non liberano Graviano dalle sue colpe. Ma il boss è un fiume in piena: “A me dispiace per la buonanima di suo padre ma anche a me hanno ucciso mio padre”. Arriva a paragonare Michele Graviano, ucciso nel 1982 dagli uomini vicini a Stefano Bontate nella guerra con i corleonesi, a Paolo Borsellino. Fiammetta non replica a questo oltraggio e chiede invece al boss della sua famiglia. Finalmente lui si rilassa. Parla con orgoglio del figlio, uno studente universita­rio modello. Arriva a chiedere che lei lo incontri fuori dal carcere. Lei gli fa notare che è grazie all’esempio di uomini come Paolo Borsellino, se il figlio di Graviano è cresciuto bene con modelli posi-

UNA ACCOGLIENZ­A MOLTO FREDDA

Lui si mette sulla difensiva Dice che sta parlando con la persona sbagliata È un innocente in carcere da 24 anni per le accuse false dei pentiti. Dice che non si deve fidare della giustizia italiana

Proprio quando sta raccontand­o la sua Dolce Vita nella Milano da bere nel 1993-1994, fa il nome più pesante. E non è un nome qualsiasi

tivi. Poi chiede a Graviano cosa facesse al nord quando era latitante visto che è stato arrestato a Milano. Il boss si dilunga sull’ultima estate di libertà nel 1993 quando andava a Forte dei Marmi con il fratello e racconta che frequentav­a i teatri di Roma e Milano. Effettivam­ente quando è stato arrestato il 27 gennaio del 1994 aveva in mano i biglietti per ‘Aggiungi un posto a tavola’, in programma quella sera al Manzoni, il teatro milanese di Berlusconi. Graviano sarebbe andato lì con il fratello Filippo, le fidanzate e un favoreggia­tore salito a Milano per accompagna­re il figlio undicenne a fare il provino al Milan, dove in precedenza era stato raccomanda­to da Marcello Dell’Utri.

Il nome di Berlusconi salta fuori proprio quando Graviano sta raccontand­o la sua Dolce Vita nella Milano da bere. Graviano, le racconta che era latitante ma incontrava tanta gente insospetta­bile che non conosceva il suo profilo criminale: avvocati, giornalist­i e imprendito­ri. In quel contesto dice: “Lo dicono tutti che frequentav­o Berlusconi” Poi aggiunge “più che io era mio cugino”. Il boss quindi dice e non dice. Allude distrattam­ente. In realtà sa di essere

registrato ed è consapevol­e del peso delle sue parole in quel momento. Il 12 dicembre 2017 Berlusconi è in campagna elettorale e quel giorno appare nei telegiorna­li, che Graviano in cella può vedere, per dichiarare: “Forza Italia è al 17 per cento, siamo l’unica diga contro il M5S”.

Se la notizia uscisse potrebbe avere un impatto sulle elezioni e poi sulla trattativa per il Governo. Erano già uscite sui giornali le intercetta­zioni in carcere nelle quali Gravia- no, secondo i pm, parlava di Berlusconi con il suo compagno di detenzione definendol­o un “traditore”. Due mesi prima del colloquio con Fiammetta, il boss si era avvalso della facoltà di non rispondere al processo Trattativa proprio su quelle conversazi­oni.

Nessuno sa perché Graviano dica quella frase su Berlusconi a Fiammetta. Nessuno sa se voglia depistare o ricattare. Nessuno sa chi sia il cugino. Solo lui può sciogliere i dubbi e sembra mirare proprio a questo effetto.

AGLI ATTI RISULTA un cugino che gestiva per conto del boss una pompa di benzina a Palermo e un altro che è stato arrestato nel 2009. Nessuno di loro però è mai stato avvistato a Milano. Men che meno in contatto con Berlusconi. L’avvocato Nicolò Ghedini al Fa tto dice: “Nessuno ci ha mostrato questa conversazi­one. Se esistesse bisognereb­be ascoltarla per verificare le reali parole di Graviano. Comunque lui sapeva di essere registrato e potrebbe avere depistato. A me non risulta nessun incontro di Berlusconi con Graviano o con qualcuno legato direttamen­te o indirettam­ente a lui. Tanto meno con un suo cugino noto. Poi se Graviano, parlando per assurdo, ha un cugino di Vipiteno che fa il prete, che ne possiamo sapere?”.

La trascrizio­ne del colloquio con Fiammetta è stata spedita alla Procura di Firenze che ha iscritto Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per concorso in strage a seguito delle conversazi­oni intercetta­te in carcere tra Graviano e il detenuto Umberto Adinolfi nelle quali il boss - per la Dia - parla di Berlusconi e Dell’Utri. Gli audio dei colloqui con i Graviano sono giunti anche a Palermo, ai pm della Trattativa; a Caltanisse­tta, che indaga sulle stragi del 1992; alla Direzione Nazionale Antimafia e alla Procura di Reggio Calabria, che sta processand­o Graviano per l’uccisione dei carabinier­i Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, massacrati a colpi di mitragliet­ta il 18 gennaio del 1994 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria.

Fiammetta Borsellino potrebbe anche essere chiamata dai magistrati come persona informata dei fatti. Per più di 20 anni ha mantenuto un rigoroso silenzio e si è disinteres­sata delle indagini, fidandosi dello Stato. Poi ha scoperto che lo Stato, per il quale il padre e i cinque agenti di scorta avevano dato la vita, ha nascosto la verità sulla strage e i suoi reali protagonis­ti. Allora ha cominciato a interessar­si e nel 25esimo anniversar­io delle stragi di Ca- paci e via D’amelio ha rilasciato dure dichiarazi­oni sui depistaggi di Stato a Fabio Fazio e poi a Sandro Ruotolo per

Fanpage e a Nello Trocchia, per Nemo. In quel periodo ha chiesto il permesso di incontrare i fratelli Graviano.

Fiammetta non vuole commentare le parole di Giuseppe su Berlusconi. Questi incontri, come ha scritto nella sua lettera, per lei sono “un fatto strettamen­te personale e chiedo che tale debba rimanere”. Un desiderio difficile da esaudire. Quando un boss che ha fatto le stragi allude ai rapporti della sua famiglia con il politico più importante degli ultimi 30 anni è difficile girarsi dall’altra parte. Anche se è e resta un fatto personale dal punto di vista di Fiammetta. E basta vedere la sua reazione alla frase ambigua del boss per capire la logica diversa che animava i due interlocut­ori. A Graviano che le parla di Berlusconi, la figlia del magistrato non chiede nulla sul leader di Forza Italia o sul cugino del boss. La sua replica è: “Chi era il suo prete di riferiment­o?”. Sarebbe difficile immaginare un dialogo in cui emergono più chiarament­e le differenze tra il bene e il male.

Fiammetta non è lì per fare domande da pm o da giornalist­a. È solo una vittima che vuole sapere se c’è un varco per entrare nell’anima di chi ha fatto uccidere suo padre. Non è interessat­a al boss ma all’uomo.

Quando gli agenti avvertono che il tempo è scaduto, tira un sospiro. È esausta ma non ha finito. Risale in automobile e appena due ore dopo è già nel carcere di L’Aquila, di fronte al fratello maggiore: Filippo Graviano, 56 anni, l’uomo dei conti nella cosca.

La scena è completame­nte diversa. Filippo è rispettoso del suo dolore anche se dice alla figlia di Borsellino che lui è cambiato dentro in questi 24 anni ma non può cambiare il suo destino. Lei cerca di dirgli che ciascuno è padrone della sua vita. Il boss gli ribatte che non è così. Dopo i colloqui del 12 dicembre, Fiammetta non ha chiesto di incontrare Giuseppe che parla di Berlusconi ma solo Filippo che sembra più consapevol­e del dolore provocato con le sue azioni.

La richiesta del colloquio con Filippo pende da mesi al Dipartimen­to Amministra­zione Penitenzia­ria. Tutte le Procure interessat­e per un parere (Caltanisse­tta, Firenze, Palermo, Reggio Calabria e la Direzione Nazionale Antimafia) hanno sconsiglia­to al Dipartimen­to un nuovo colloquio in carcere. Qualcuno ha fatto notare che ci sono anche rischi per l’in c ol um it à della figlia di Paolo Borsellino. Fiammetta però nella sua lettera insiste: “ora è importante che io possa continuare quel dialogo che è stato interrotto, con enorme dispiacere registro la mancanza di una risposta ufficiale da parte delle istituzion­i”.

La replica di Ghedini Potrebbe avere depistato. Non mi risulta nessun incontro di Berlusconi con qualcuno legato a lui

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