I dioscuri insistono sul “tecnico”: sempre che il Colle dica sì
Se il prescelto gialloverde non convincerà Mattarella, tornerà in gioco Di Maio: che forse un po’ ci spera pure
Questa mattina si rivedranno, a Roma. E sarà il punto finale prima della salita al Colle, con ogni probabilità domani. Quello per i dettagli, sarebbe da supporre: perché dalla pancia del Movimento continuano a giurarlo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono già d’accordo sul nome del premier. Una figura terza, non eletta. “E se fosse stato uno dei due leader l’altro avrebbe avuto grandi problemi a reggerlo con la sua base”, come confermano anche due fonti di alto livello della Lega.
PERÒ NEL SABATO in cui Di Maio gira come una trottola per banchetti e comizi elettorali tra il Piemonte, l’Emilia Romagna e le Marche, mentre Salvini si manifesta tra i gazebo della sua Milano, i due capi diffondono verità che stridono tra loro. Perché il segretario del Carroccio suona e risuona la stessa nota: “Il premier sarà una figura che vada bene a entrambi con esperienza professionale incontestabile e che condivida e abbia contribuito alla stesura del programma” (caratteristica invocata anche dal costituzionalista Michele Ainis sul Fatto, ieri). Ergo, “è chiaro che non saremo né io né Di Maio”.
Poi però c’è proprio lui, Di Maio, che prima (ri)parla di “un premier che sarà amico o amica del popolo”. E poi in serata rilancia: “Non so se sarò premier o nella squadra di governo”. Insomma, una bella differenza con le parole di Salvini. Con cui si punge a distanza sul reddito di cittadinanza: il leghista rivendica di aver fatto mettere nel contratto di governo un limite di due anni al totem del M5S, mentre per Di Maio “parlare di limite è un’interpretazione totalmente sbagliata”.
E allora è lecito chiedersi se sia solo una cortina fumogena per coprire il vero nome o se la quadra per Palazzo Chigi sia davvero ancora da perfezionare. Certo, è evidente come il profilo descritto da Salvini possa coincidere con quello di Giuseppe Conte, l’avvocato e docente universitario che Di Maio aveva voluto come ministro alla Pubblica amministrazione nella squadra presentata prima delle Politiche.
L’unico vero nome finora messo sul tavolo dal M5S, non presentato al Quirinale lunedì scorso (almeno ufficialmente) perché bocciato dalle perplessità di Salvini un paio di ore prima di salire al Colle. Di Maio non lo ha mai messo da parte definitivamente. Ma anche dentro il M5S sanno che potrebbe es- sere troppo leggero per il Quirinale. E in assoluto l’essere stato svelato giorni fa su tv e giornali non aiuta Conte. Quindi i sussurri che dal Movimento parlano di un’altra figura terza già trovata, di cui nessuno ha mai parlato, hanno senso. Però c’è sempre il Di Maio che non si decide al passo indietro pubblico. E che così alimenta un sospetto: ossia che speri in un assist magari indiretto di Sergio Mattarella, che potrebbe bocciare il tecnico e affidare comunque l’incarico al leader del Movimento con 11 milioni di voti, cioè a Di Maio. Congetture, forse.
DI SICURO PERÒ nel M5S sperano ancora che il capo ce la faccia all’ultimo miglio. E quella sua dichiarazione, “non so se andrò a Palazzo Chigi”, è stata accolta da molti parlamentari come un gol. Di Maio lo sa e nell’attesa si prende tutto il tempo che gli resta per chiudere la tela. Anche sui ministri, perché diverse caselle ballano ancora. A partire da quella per la Giustizia, per cui rimane comunque favorito il dimaiano doc Alfonso Bonafede. Mentre per le Infrastrutture salgono le quotazioni della grillina Laura Castelli e la Lega insi- ste per avere il ministero dello Sviluppo economico. “Ci stiamo sentendo al telefono con Salvini, oggi e domani saranno decisivi”, spiegava ieri il leader del M5S.
Agenda alla mano, nel pomeriggio Di Maio dovrebbe essere a Teramo e poi in serata a Silvi Marina, sempre in Abruzzo. Ed è un altro indizio del fatto che la quadra almeno sul premier potrebbe già esserci. Perché in caso di grave stallo difficilmente i due leader si sarebbero lasciati solo un margine di poche ore per vedersi, dopo due giorni di contatti solamente telefonici. Però l’identità del presidente del Consiglio rimane per ora un mistero, per nulla buffo. “Il nome lo diremo solo a Mattarella”, giurano Salvini e Di Maio. Comunque pokeristi, fino all’ultimo secondo.