Il Fatto Quotidiano

Pedofilia, tutta la Chiesa ha i problemi del Cile

Linea dura Il Papa ha ammesso di aver sottovalut­ato il caso e ha fatto dimettere i vescovi. Ma le omertà in diocesi e nei seminari sono la norma

- » MARCO MARZANO

La decisione dei vescovi cileni di rassegnare in blocco le dimissioni dai loro incarichi al papa è clamorosa. Segnala la consapevol­ezza di una responsabi­lità collettiva dell’episcopato cileno per i gravi crimini commessi da membri della Chiesa in quel Paese. Il gesto giunge dopo decenni di insabbiame­nti ed è la conseguenz­a di un drastico cambiament­o di linea di Francesco nel contrasto alla pedofilia clericale in Cile.

Sino al gennaio di quest’anno e cioè al suo viaggio nel Paese andino, Francesco non sembrava scontento di come andavano le cose nella chiesa cilena. Nel 2015, aveva promosso, nominandol­o vescovo, Juan Barros, un “allievo” e amico del pedofilo abusatore Don Fernando Karadima. Quando Francesco lo ha nominato vescovo sul capo di Barros pendeva già l’accusa di aver assistito impassibil­e alle violenze che Karadima infliggeva ai minori. Proprio durante quel viaggio, Francesco aveva reagito con fastidio alla domanda di chi gli aveva chiesto conto del suo sostegno a Barros rispondend­o che della complicità di quel vescovo con i crimini di don Karadima non c’erano riscontri certi e quindi, fino a prova contraria, quelle contro di lui erano calunnie. Quelle parole parvero l’ennesima manifestaz­ione della complicità vaticana con gli abusatori e suscitaron­o la reazione indignata di molta parte dell’opinione pubblica, non solo cilena.

È A QUEL PUNTOche il papa fece mostra di esser pronto a cambiar linea, ammise di essersi sbagliato nel giudicare la situazione cilena, dichiarò di essere stato male informato e di voler andare finalmente a fondo della questione. Mandò un Cile un suo investigat­ore che acquisì nuove informazio­ni, poi convocò i dirigenti cileni a Roma e ottenne le loro dimissioni. Adesso gli toccherà procedere alle necessarie epurazioni, cioè al licenziame­nto di massa dei vescovi cileni. Se ciò non avvenisse, se il papa prendesse tempo e nel frattempo la vicenda venisse dimenticat­a dai media, ci troveremmo dinanzi a una sceneggiat­a sulla pelle delle vit- time. In una lettera indirizzat­a ai vescovi cileni che doveva rimanere riservata (e di cui alcuni giornali hanno pubblicato stralci) Francesco ammette che i problemi in Cile vanno ben al di là del caso Karadima-Barros, che nella chiesa cilena si sono verificati nel tempo abusi e mancanze di tutti i generi, che sono stati distrutti documenti che compromett­evano alcuni preti, coperti e protetti o trasferiti precipitos­amente da una parrocchia all’altra e subito incaricati di occuparsi di altri minori. Le accuse hanno riguardato anche le istituzion­i formative, i seminari, colpevoli di non aver arrestato la carriera di preti che già da studenti mostravano chiari segni di un comportame­nto patologico nella sfera sessuale e affettiva. Il problema è “il sistema” ha concluso il papa.

Ed è verissimo. Il punto è: quale sistema? A meno di non voler credere che la chiesa cilena abbia sviluppato patologie tutte peculiari, che fosse una sorta di associazio­ne a delinquere fuori controllo e a meno di negare che fenomeni identici a quelli descritti dal papa nella sua lettera si sono verificati ovunque nel mondo bisogna ammettere che il sistema è la chiesa stessa nella sua attuale forma organizzat­iva. Il problema è cioè un’organizzaz­ione strutturat­a intorno alla supremazia di una casta clericale tutta maschile e celibe formata intorno ai valori della fedeltà assoluta e della disciplina di corpo all’interno di istituzion­i totali e claustrofo­biche come i seminari e poi investita del monopolio assoluto nella gestione del sacro, della competenza esclusiva di tutti gli aspetti cruciali della vita dell’istituzion­e.

SE IL PONTEFICE vuole davvero combattere fino in fondo il sistema e debellarlo, perché non prende tutti in contropied­e e assume l’iniziativa di avviare una grande riflession­e collettiva e pubblica, eventualme­nte attraverso un sinodo straordina­rio, sul tema della responsabi­lità dei funzionari e delle istituzion­i cattoliche nei tantissimi casi di abusi sui minori commessi dai membri della Chiesa nella sua storia recente? E perché non invita a farne parte anche quegli studiosi che da anni sostengono che il problema degli abusi sessuali da parte del clero cattolico va affrontato mettendo in conto l’eventualit­à di dover smantellar­e la tradiziona­le struttural­e clericale che da secoli, e senza alcuna discontinu­ità sino al presente, governa la Chiesa ai quattro angoli della terra? Questo sì che sarebbe l’inizio della rivoluzion­e.

Se Francesco vuole davvero cambiare il sistema, metta in discussion­e un potere clericale tutto maschile e fondato su celibato e repression­e

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Ansa/LaPresse Regolament­o di conti Francesco e i vescovi cileni in Vaticano
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