Rating e spread: ora i mercati temono i costi del programma
L’accordo “Aumentano i rischi per il credito sovrano”, dice l’agenzia Fitch. Incerti gli impatti delle misure, coperture ancora da indicare
Dopo due mesi di attesa, i mercati stanno iniziando a dire la loro s u l g o v e r n o L ega-Cinque Stelle: “Aumenta i rischi per il profilo di credito sovrano del Paese, in particolare attraverso l’allentamento della politica di bilancio e il potenziale danno alla fiducia”, scrive in una nota Fitch. I timori dei tecnici del Tesoro si stanno verificando: invece che andare verso un aumento del rating, ora si rischia forse un peggioramento. L’ultimo taglio del rating nel 2017, ricorda Fitch, fu motivato proprio dall’aumento del “rischio politico”: il pericolo è, scendendo ancora un paio di gradini, che i Btp non possano più essere usati dalle banche come collaterale presso la Bce.
LO SPREAD, la differenza di rendimento tra debito italiano e debito tedesco, è arrivato ieri a 180 punti. Niente di drammatico, ma sui mercati c’è la convinzione che la generale flessione al ribasso delle Borse e l’aumento del costo dei titoli di Stato siano dovuti all’incertezza sui destini dell’I tali a. “Un libro dei sogni o degli incubi?”, così titolava un paio di giorni fa la sua analisi del contratto Lega-M5S Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, oggi a capo di Lc Macro Advisors. Su Repubblica l’ex commissario alla spending review Roberto Perotti ha stimato un deficit aggiun- tivo di 170 miliardi se venisse applicato tutto il programma. Sulla Stampa Carlo Cottarelli, altro ex commissario, stima 110-125 miliardi.
Ma sono numeri da maneggiare con cautela. Per due ragioni. La prima: in campagna elettorale, ma anche dopo, i politici tendono a promettere molto più di quello che poi potranno mantenere. Silvio Berlusconi ha passato 25 anni ad annunciare una riforma dell’Irpef dai costi incerti, un ponte sullo Stretto di Messina e aumenti di pensioni minime che, se realizzati, avrebbero sfasciato i conti quanto il contratto del governo Salvini-Di Maio. Il dem Matteo Renzi, nei suoi 1000 giorni di governo, ha promesso misure superiori di decine di miliardi rispetto a quelle davvero realizzate: i contribuenti stanno ancora a- spettando i tagli all’Irpef e all’Ires, l’azzeramento dell’Irap, gli 80 euro alle partite Iva e ai pensionati eccetera.
La seconda ragione per cui è difficile capire il vero costo del programma è che alcune misure, come il reddito di cittadinanza, possono essere introdotte in modo graduale (prima la riforma dei centri per l’impiego e un po’ di dote al Reddito di inclusione). Per altre promesse non c’è modo di spalmare gli effetti: se nel 2019 ci sarà la doppia flat tax sui redditi di persone e imprese, si aprirà subito un buco di 45-50 miliardi di mancato gettito.
I GIALLOVERDI hanno un problema aggiuntivo: quando Matteo Renzi si insediò a Palazzo Chigi, il governo Letta aveva appena ottenuto la chiusura della procedura per deficit eccessivo della Commissione Ue e la ripresa economica stava arrivando in Italia. La coppia Luigi Di Maio e Matteo Salvini invece eredita una procedura pronta ad aprirsi, in assenza di una manovra correttiva da 5 miliardi nel 2018, l’economia mondiale in frenata e una clausola di salvaguardia (lasciata dal governo Renzi) da 12,5 miliardi da disinnescare o a gennaio salirà l’Iva. L’altra differenza è che la solidità dei conti pubblici ha permesso al governo Renzi di ottenere dalla Commissione 19 miliardi di euro di “flessibilità”, cioè deficit aggiuntivo senza sanzioni, usati per bonus elettorali e aumenti di spesa, invece che per investimenti. Oggi la flessibilità permessa dalle regole è esaurita, ogni sforamento rischia di essere sanzionato.
Quando Berlusconi o Renzi facevano promesse impossibili da mantenere beneficiavano di un contesto favorevole che per Lega e M5S è invece
I primi ostacoli
Il contesto è ostile: frenata della crescita, rischio manovra, incubo aumento Iva
ostile. C’è un’altra incertezza: a stabilire quali misure del contratto verranno davvero attuate non saranno solo i limiti contabili, ma anche i rapporti di forza tra leghisti e 5Stelle: conteranno di più i collaboratori di Luigi Di Maio, inesperti ma pragmatici, o gli economisti anti-euro intorno Salvini? Se lo chiedono in tanti, non solo a Bruxelles.