Il Fatto Quotidiano

Malaspina, dal carcere all’impero edilizio

(di nuovo) l’imprendito­re: fatture false per 96 milioni e 14 bancarotte

- » DAVIDE MILOSA

Dalla

Calabria alla Brianza. Una fortuna accumulata nel settore edilizio. Poi, nel 2009, la crisi, il tracollo finanziari­o, quindi il tentativo di far fronte ai fallimenti mettendo in piedi un sistema che, sfruttando il risiko di circa 40 società, froda il fisco, emette fatture false per 96 milioni di euro, travasa denaro nelle varie srl per ottenere concession­i dalle banche, distraendo 234 milioni, più di 14 le bancarotte contestate.

MANTENERE la propria ricchezza è l’obiettivo unico di Giuseppe Malaspina, 60 anni da Montebello Jonico, da ieri in carcere. Trenta le misure cautelari emesse dal giudice di Monza. Tra loro anche due avvocati e un ex giudice fallimenta­re. Tutti dediti alla causa (criminale) dell’imprendito­re. Diversi i beni sotto sequestro: uno storico albergo di Venezia, il Ca’ Sagredo, un altro (il Gritti) a Milano non lontano dalla Scala e un maneggio e- xtra lusso a Ornago. Insomma un giro vorticoso di carte (false), di appalti inventati, di prestanomi, per alimentare “la sua bramosia di denaro”. Un tesoro nascosto quello di Malaspina, che nel 1972 finì in galera per omicidio. Sparò e uccise un compaesano a Muggiò. Il movente, spiega la Dia in una nota del 2012, “una presunta delazione ai carabinier­i”. In carcere, Malaspina si diploma, sconta la pena, esce e subito le sue aziende viaggiano a gonfie vele. Poi suo fratello finisce nel mirino di un gruppo calabrese di Vimercate. Giuseppe Malaspina comparirà come vittima. Emerge che nelle sue aziende lavorerann­o (“per quieto vivere”) personaggi contigui alle ’ndrine. Ed è da uomini vicini al “banchiere” della cosca di Desio, Giuseppe Pensabene, che Malaspina si rivolge per risolvere la questione del fratello. Rapporti che non gli varranno mai un ’ accusa di mafia. L’i nda gi ne conclusa ieri parte da un esposto per una corruzione (prescritta) del 2010 nel comune di Correzzana.

I pm lavorano sui reati tributari. Nel

2015 ci sono le perquisizi­oni. La discovery mette in allarme il gruppo. “Emergono – scrive il giudice – operazioni folli e fantasiose, delle vere porcate come descritto dai suoi stessi collaborat­ori”. Una testa di legno dirà: “Sforza (società del sistema Malaspina, ndr), è la cartiera, serve per fare tutti i loro giri (…). Il capo supremo è sempre Malaspina”. Una signora, anche lei prestanome, dopo una riunione, confessa: “Mamma mia non ce la faccio più (…). Non ho capito un cazzo di quello che hanno detto”. Il suo interlocut­ore risponde: “Sei solo una prestanome di merda”. Le microspie della Finanza registrano decine di riunioni. In una, qualcuno dice: “Quello che abbiamo detto oggi è finto (...). Una in più o in meno, l’importante è avere un pezzo di carta (…). Bisogna fare uno sforzo di fantasia, ci vuole Walt Disney”.

LO SFORZOprod­uce uno tsunami di carte che nel 2015, dopo le perquisizi­oni, devono sparire. “Ma allora – dice un funzionari­o – tutta questa roba qua che di là ce ne è un mare? (...) Noi abbiamo il permesso di caricare quello che vogliamo e va in discarica (…). Metto sul bilico e lo faccio sparire”. Malaspina poi spiega “il trucco”: “La Duomo è una scatola vuota (…) se la banca ci dà l’ok entriamo in pista”. Tutto si fa per moltiplica­re le ricchezze. Anche un divorzio “fittizio”. Lo rivela una collaborat­rice: “Sono divorziati, ma lo hanno fatto per il fisco”. Malaspina sul punto è chiaro. “Quando facciamo gli accordi ce l’ha mia moglie in mano la società, col cazzo che mi cuccano più”.

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In cella Giuseppe Malaspina

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