Courtney Barnett e la sua guerra contro gli haters
ettimi su un piedistallo, e sarò solo capaci di deluderti”: così cantava Courtney Barnett in Pedestrian at Best, uno dei brani più memorabili del suo primo album Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit. Con quel disco di tre anni fa, la oggi trentenne cantautrice australiana è entrata nel cuore di molti fan, ormai cronicamente disillusi, di quella cosa che una volta si chiamava indierock. O anche solo “rock” e basta. Qualcuno, sull’o nda dell’entusiasmo ritrovato, ha parlato addirittura di una nuova “Dylan al femminile”, peccando nell’ordine di: anacronismo, esagerazione e solito buon vecchio maschilismo.
Si potrebbero in realtà citare tanti nomi di artiste alle quali lo stile svagato ma appuntito della Barnett può far pensare: da Chrissie Hynde a Liz Phair, da Sheryl Crow all’ex Pixies e tuttora Breeders Kim Deal. Quest’ultima, insieme alla sorella Kelley, è ospite in un paio di brani del nuovo lavoro, intitolato con il consueto misto di disincanto e finta seriosità Tell Me How You Really Feel. Dieci canzoni solide, melodiche, piacevolissime e liricamente argu- te che confermano al di là di assonanze e omonimie ( su cui ha giocato con una certa sfrontatezza l’anno scorso pubblicando un disco con Kurt Vile, l’innocuo Lotta Sea Lice) quanto Courtney assomigli solo a se stessa. La sua figura dinoccolata e perennemente sorridente è davvero qualcosa di unico nel pa-
IL TRATTO Brani mixati in una formula subito riconoscibile. Fingendo di chiederci “come stiamo”, ci descrive come davvero sta lei
norama attuale, non tanto per l’originalità degli ingredienti musicali – formalmente le sue canzoni sono una specie di festival indie anni 90 condensato in tre-quattro minuti – quanto per il modo con cui vengono mixati in una formula immediatamente riconoscibile e del tutto personale. Quell’au t o - ironia da adorabile imbranata, quel candore nel raccontarsi, quella capacità di parafrasare dettagli di ordinaria quotidianità in riflessioni esistenziali, sono prerogative tutte sue. Insieme all’ombra di una patologica insicurezza sulle proprie capacità e sul proprio ruolo nel mondo, oggi forse amplificata dal discreto successo che la musicista sta raccogliendo in giro per il mondo. Alcuni titoli qui parlano chiarissimo: Crippling Self Doubt and a Generic Lack of Self Confidence, Hopefulessness, Help Your Self (notare la finezza verbale), Walking On Eggshells. Ma la fama, per quanto di culto, esige anche