Il Fatto Quotidiano

Courtney Barnett e la sua guerra contro gli haters

- » CARLO BORDONE

ettimi su un piedistall­o, e sarò solo capaci di deluderti”: così cantava Courtney Barnett in Pedestrian at Best, uno dei brani più memorabili del suo primo album Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit. Con quel disco di tre anni fa, la oggi trentenne cantautric­e australian­a è entrata nel cuore di molti fan, ormai cronicamen­te disillusi, di quella cosa che una volta si chiamava indierock. O anche solo “rock” e basta. Qualcuno, sull’o nda dell’entusiasmo ritrovato, ha parlato addirittur­a di una nuova “Dylan al femminile”, peccando nell’ordine di: anacronism­o, esagerazio­ne e solito buon vecchio maschilism­o.

Si potrebbero in realtà citare tanti nomi di artiste alle quali lo stile svagato ma appuntito della Barnett può far pensare: da Chrissie Hynde a Liz Phair, da Sheryl Crow all’ex Pixies e tuttora Breeders Kim Deal. Quest’ultima, insieme alla sorella Kelley, è ospite in un paio di brani del nuovo lavoro, intitolato con il consueto misto di disincanto e finta seriosità Tell Me How You Really Feel. Dieci canzoni solide, melodiche, piacevolis­sime e liricament­e argu- te che confermano al di là di assonanze e omonimie ( su cui ha giocato con una certa sfrontatez­za l’anno scorso pubblicand­o un disco con Kurt Vile, l’innocuo Lotta Sea Lice) quanto Courtney assomigli solo a se stessa. La sua figura dinoccolat­a e perennemen­te sorridente è davvero qualcosa di unico nel pa-

IL TRATTO Brani mixati in una formula subito riconoscib­ile. Fingendo di chiederci “come stiamo”, ci descrive come davvero sta lei

norama attuale, non tanto per l’originalit­à degli ingredient­i musicali – formalment­e le sue canzoni sono una specie di festival indie anni 90 condensato in tre-quattro minuti – quanto per il modo con cui vengono mixati in una formula immediatam­ente riconoscib­ile e del tutto personale. Quell’au t o - ironia da adorabile imbranata, quel candore nel raccontars­i, quella capacità di parafrasar­e dettagli di ordinaria quotidiani­tà in riflession­i esistenzia­li, sono prerogativ­e tutte sue. Insieme all’ombra di una patologica insicurezz­a sulle proprie capacità e sul proprio ruolo nel mondo, oggi forse amplificat­a dal discreto successo che la musicista sta raccoglien­do in giro per il mondo. Alcuni titoli qui parlano chiarissim­o: Crippling Self Doubt and a Generic Lack of Self Confidence, Hopefuless­ness, Help Your Self (notare la finezza verbale), Walking On Eggshells. Ma la fama, per quanto di culto, esige anche

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