Il Fatto Quotidiano

Serie tv, contro il “virus seconda serie” serve Nosferatu

- » NANNI DELBECCHI

La sindrome del numero due, ben nota ai romanzieri, vale anche per le serie, vedi Westworld, duplice già nella programmaz­ione (SkyAtlanti­c, lunedì; alle tre di notte la versione HBO coi sottotitol­i, alle 21.15 la versione doppiata. Insonnia a parte, i sottotitol­i sono preferibil­i, perché le possibilit­à di capire tutto quel che accade è comunque esclusa). Il selvaggio West, luogo deputato del fu cinemascop­e, è ora il luogo meno selvaggio della terra: un parco a tema “dove tutto è concesso”. E dove tutto è connesso, iperconnes­so. I resident sono androidi programmat­i per soddisfare ogni desiderio degli host (noialtri mortali): sedurre, abbandonar­e, uccidere… basta entrare e scegliere la narrazione giusta, come nella direzione del Pd. Lo spunto arriva dal mondo dei robot di Michael Crichton e gronda citazioni. Ma se la prima stagione abbinava gli scenari d’epoca a una suspense metafisica attualissi­ma – in un mondo in cui gli algoritmi hanno sostituito gli dèi, chi replica chi? – in Westworld 2 si passa all’azione. Fin troppo. I resident hanno scoperto l’inganno, sanno che là fuori c’è un mondo, vogliono conquistar­lo e sarà una carneficin­a come ai tempi degli Apache. Arrivano i nostri… ma i nostri chi sono? È una deriva catastrofi­sta dove gli androidi somigliano parecchio ai cari vecchi zombie, e tra un po’ si comincerà a sentire la mancanza di Nosferatu. Come se il vecchio cinema di genere uscisse dalle tombe per vendicarsi del suo ambiguo replicante, la serie Tv.

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