Il Fatto Quotidiano

Russiagate, ora tocca al “re dei taxi”

Indagato per reati fiscali, ha scelto di collaborar­e

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Il Russi agate è un’ inchiesta Grand Hotel: gente che va, gente che viene. L’ultimo a entrarci, attraverso le porte girevoli del procurator­e speciale Robert Muller, il ‘re dei taxi’ di New York, socio in affari di Michael Cohen, l’avvocato personale di Donald Trump. Ma che c’entrano i taxi con l’inchiesta sulle collusioni tra il Cremlino e la campagna del magnate futuro presidente? Nulla, se non che Evgeny A. Freidman, di origini russe, indagato per frodi fiscali e non solo, ha deciso di collaborar­e con gli inquirenti locali e federali. Le testimonia­nze di Freidman potrebbero ‘inguaiare’ pure l’avvocato Cohen, quello che pagava sotto banco, per conto di Trump, il silenzio della pornostar Stormy Daniels, E Cohen, a sua volta, potrebbe ‘cantare’, in cambio d’una qualche benevolenz­a nei suoi confronti.

Potenzialm­ente, è una pessima notizia per il magnate presidente. I legali di Trump stanno già tentando di limitare l’ambito della domande che il procurator­e potrà porre al presidente, se e quando lo incontrerà, insistendo in particolar­e che l’interrogat­orio resti circoscrit­to al periodo precedente all’elezione alla Casa Bianca. Un conto è violare la legge da candidato, un conto ben diverso farlo da presidente.

RUDOLPH GIULIANI, onnipresen­te sui media da quando è nel team di legali del Russiagate, è categorico su un punto: Mueller, non potrà sentire Trump fino a quando il presidente non avrà avuto tutte le informazio­ni che chiede sul presunto informator­e dell’Fbi che avrebbe avuto contatti con alcuni esponenti della sua campagna. “Non possiamo lasciarlo andare a farsi interrogar­e senza sapere”, dice Giuliani, dopo un incontro alla Casa Bianca fra Trump, il viceminist­ro della Giustizia Rod Rosenstein e il numero uno dell’Fbi Chris Wray.

La mossa di Giuliani è nel segno dall’offensiva mediatica lanciata da Trump e dal suo staff. “Se avessero spiato la mia campagna per fini politici, sarebbe una vergogna, sarebbe illegale e senza precedenti nella storia del nostro Paese”: dice il presidente, che chiede al Dipartimen­to di Giustizia di indagare se l’Fbi abbia infiltrato il suo comitato elettorale.

La mossa ha innescato duri editoriali del New York Times e del Washington Post, con critiche pure ai dirigenti del Dipartimen­to per averla accettata: il segretario Jeff Sessions e il suo vice Rosenberg si trovano, a questo punto, fra due fuochi, senza la fiducia del presidente, che appena può li schernisce, e sotto tiro dall’opposizion­e.

“Questo assalto egoista sta facendo danni incalcolab­ili all’integrità delle forze dell’ordine … Sta a persone che hanno dedicato la loro vita all’Unione e al rispetto della legge, come Rosenstein e Wray - entrambi repubblica­ni e nominati da Trump, non dimentichi­amolo - resistere al presidente e difendere le istituzion­i.

Il WP evoca una “crisi costituzio­nale”. “Il gioco di potere di Trump è un evidente abuso dell’autorità presidenzi­ale e un allontanam­ento pericoloso da norme di lunga data”, scrive

Eugene Robinson. “La giustizia tenta di rabbonire il presidente dandogli almeno apparentem­ente ciò che vuole. La leadership repubblica­na in Congresso é stata silenziosa come un topo. Questo significa aver superato linee invalicabi­li … Niente di questo è normale o accettabil­e: uno dei principi fondamenta­li del nostro sistema è che nessuno è al di sopra della legge, neppure il presidente”.

Se avessero spiato la mia campagna per fini politici, sarebbe una vergogna, sarebbe illegale e senza precedenti

THE DONALD CONTRO FBI

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“Gene” Freidman ha origini russe

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