Il Fatto Quotidiano

Esilio Gli incubi della sinistra da salotto: urgono voli “low casta” per espatriare

- ELIAS VACCA ENRICO COSTANTINI PAOLO SANNA FABRIZIO D’ESPOSITO VIVIANA VIVARELLI

Il prof. Conte ha sentito l’esigenza di proclamars­i nostro avvocato. Il già deposto capo del governo e segretario dimissiona­rio del Pd Renzi non ha resistito, gli piace troppo fare il simpatico e ha detto: “E io mi costituisc­o parte civile!”.

Ecco bravo... qualcuno spieghi al pover’uomo che la parte civile è l’avversario processual­e dell’assistito (che in questo caso sarebbero gli italiani), non dell’avvocato difensore (che è il professor Conte). Qualcuno dica inoltre a Renzi che esistono anche le cause civili, alle quali evidenteme­nte alludeva il prof. Conte essendo lui docente di Diritto Privato. Ma il fatto che Renzi associ il termine “avvocato” al processo penale la dice lunga. Insomma, senatore Renzi, compri una vocale, giri la ruota, lasci o raddoppi... ma per favore eviti le battute, che proprio non le riescono. Lasci fare al vecchio satiro che, come uomo di spettacolo, le è ancora superiore.

Il “Lei non sa chi sono io” rimane un tipico vezzo italico

La polemica sul curriculum bacato del candidato premier Giuseppe Conte, oltre che sorprenden­te e vagamente inquietant­e, fa riemergere un vezzo italico: il “lei non sa chi sono io.”

Mentre all’estero per due pagine copiate in una tesi di laurea si dimettono seduta stante ministri e presidenti, in Italia, da Oscar Giannino bilaureato inesistent­e, alla ministra Madia mai specializz­ata con dottorato fasullo nei Paesi Bassi, alla ministra Fedeli neppure diplomata, molti, per giustifica­re e dare sostanza alla loro posizione pubblica, si attribuisc­ono profession­alità che non possiedono, o si atteggiano a persone che vorrebbero essere e non sono, e si attaccano al detto citato prima. Il fatto è che il “lei non sa chi sono io”, per loro porta a una triste scoperta: non erano nessuno. RIPORTO A CASO ALCUNE DICHIARAZI­ONI rilasciate da personalit­à del mondo della politica, del giornalism­o e dello spettacolo che, per non disonorare le rispettive categorie già svilite a sufficienz­a, dovrebbero sempliceme­nte prendere atto della situazione esistente e, come promesso, dar seguito coi fatti alle parole. Il più famoso di loro, Silvio Berlusconi, disse che se avessero governato i 5stelle sarebbe andato a vivere in Russia; Giuliano Cazzola ha dichiarato che meglio dell’Italia pentastell­ata ci sono i campi di concentram­ento, la clandestin­ità e l’eutanasia, e noi, pazienti, aspettiamo che prenda la giusta decisione; l’esimia politologa ( sic) Elisabetta Gualmini prometteva di andare a vivere a Timbuctù nel malaugurat­o caso di un governo coi 5stelle, ma è ancora qui, forse in attesa del primo volo low cost per il Mali. Tra i giornalist­i è simpatico ricordare le sobrie parole della firma di Repubblica Natalia Aspesi: “Se vinceranno i 5stelle mi sparo”. Queste signore e signori, esempi illuminati di onestà intellettu­ale, ora che faranno? GENTILE PAOLO, per cercare di allinearmi al suo tono ironico, aggiungo subito che se avessi un’agenzia di viaggi organizzer­ei dei voli “low casta”, non cost, per agevolare l’espatrio. Ché tutti i politici o i giornalist­i che lei cita hanno sperato in una conservazi­one del Sistema con relativi privilegi. Da berlusconi­ani (compreso lo stesso ex Cavaliere) e renziani era normale aspettarsi una promessa del genere. Tra le due categorie, chiamiamol­e pure così, c’è però una differenza. Chi a sinistra – dinnanzi alla prospettiv­a di un governo grillino – si consola dolorosame­nte con l’idea di un salvifico esilio compie un atto di grande arroganza e superbia. Gualmini e Aspesi, per esem- Caro presidente incaricato Conte, ho ascoltato le sue dichiarazi­oni e spero che presto diventi a tutti gli effetti presidente del Consiglio dei ministri, come recita la Costituzio­ne e non accetti di essere chiamato premier, cancellier­e o altro come spesso giornalist­i neghittosi e politici spocchiosi fanno senza sapere bene cosa vogliano dire. Parlare in italiano agli italiani, magari in maniera comprensib­ile sa- pio, dovrebbero interrogar­si, rispettiva­mente, su quanti elettori e lettori hanno perso il Pd e “la Repubblica” perché diventati grillini. Dovrebbero chiedersi, come ha fatto Susanna Camusso sul “Fatto”, perché questo governo nascente parla anche alla “nostra gente”. Se poi loro, rispondend­osi da soli, diranno che il futuro del Pd è un’altra cosa rispetto ai diritti sociali, al lavoro e alle diseguagli­anze, e che il futuro è una spruzzatin­a centrista di Macron con l’aggiunta dei diritti civili (come se la sinistra dovesse limitarsi solo a rinverdire il pannellism­o radicale), allora il consiglio è un altro. Anziché espatriare, basta rimanere arroccati nei salotti. rà una riforma a costo zero che porterà i propri frutti. Poi spero che saprà fare scelte, sempre a favore di questa nostra Italia e vorrei modestamen­te fare un elenco che credo anche altri connaziona­li condivider­anno: il nostro Paese è soggetto a terremoti dunque bisogna cominciare a riqualific­are, prima di un nuovo sisma, l’edilizia in molte parti d’Italia a cominciare da quella scolastica. Costruire nuove carceri più umane e far rispettare le sentenze e la loro durata, perché è intollerab­ile che brigatisti neri, rossi e stragisti come i fratelli Savi offendano la memoria delle vittime che lo sono doppiament­e non potendo i loro parenti avere la visibilità loro concessa sui media.

Il doloroso capitolo del lavoro, ovviamente, dovrebbe essere la priorità assoluta, come chiede la Carta costituzio­nale e dovrebbe essere un lavoro degno di questo nome e non un sotterfugi­o pagato in maniera decorosa e non una presta- La mia è una passione civile. Prima ero una no global, oggi sono un’attivista dei cinquestel­le. Questo ha dato alla mia vita di donna sola, inferma e vecchia, un senso e uno scopo.

Non importa se sono nessuno, non importa se non sono ricca, bella, giovane o potente. “Io sono un cittadino”, e lo dico con l’orgoglio e la fierezza di chi ama la politica della giustizia, della democrazia e della liberazion­e. Credere in una speranza di popolo e lottare per quella può fare di ognuno di noi una forza e una bellezza. Il M5S mi ha dato questo: un motivo per vivere. Quando è morto mio marito cinque anni fa volevo morire. Molte volte nella mia vita ho rischiato la depression­e e ho pensato che era meglio per me morire. Non è stata esattament­e una bella vita, come tanti attorno a me non hanno una bella vita.

Ma chi vive oltre se stesso, chi lotta per qualcosa che riguarda tutti, ha un motivo in più per vivere, una fede civile collettiva dà alla sua vita un colore e una qualità che questa da sola non potrebbe avere. Ma immagino che superare i propri personalis­mi e accedere a un sentire collettivo sia anch’esso un dono di cui si debba rendere grazie. Un dono che riabilita il concetto di politica e che innalza ognuno di noi come un potere che la politica non la subisce ma la crea. Spero che il premier incaricato Giuseppe Conte riesca a comprender­e quanta passione e quanto amore ci sono in tutto questo.

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Ansa Correre ai ripari La politologa Elisabetta Gualmini

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